L’ARCANO CASO DELLE NOTIFICHE TELEMATICHE ALLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

1. Le notifiche telematiche alle Pubbliche Amministrazioni: un’attività inutilmente complicata.

È universalmente noto che la telematica costituisce uno straordinario strumento per modernizzare l’andamento della Pubblica Amministrazione e per migliorare il funzionamento della giustizia, ad iniziare dai procedimenti di notificazione degli atti giudiziari. Con questa consapevolezza, il legislatore ha posto due caposaldi: per un verso ha emanato il d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, che reca il Codice dell’Amministrazione digitale (di seguito, “CAD”); per un altro verso, con la modifica dell’art. 1 della legge 21 gennaio 1994, n. 53, introdotta dall’art. 25, terzo comma, lett. a), della l. 12 novembre 2011, n. 183, con effetto dal 1° gennaio 2012, ha disposto che: «L’avvocato […] munito di procura alle liti […] può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale […] a mezzo della posta elettronica certificata, salvo che l’autorità giudiziaria disponga che la notifica sia eseguita personalmente» [1].
Sarebbe sufficiente coniugare tra loro i principi che governano i due fenomeni (digitalizzazione dell’amministrazione da un lato; informatizzazione delle notificazioni da un altro) per pervenire alla logica conclusione che dovrebbe ritenersi sempre possibile effettuare notifiche telematiche di atti giudiziari alle Pubbliche Amministrazioni. D’altronde, le notifiche on line sono connaturate al più ampio fenomeno della informatizzazione del processo: non ha senso modernizzare il processo (civile, amministrativo, tributario, contabile) con l’uso della telematica, ed ostacolare l’utilizzazione degli strumenti telematici per effettuare le notificazioni da esso prescritte.
Il legislatore non ha tratto però le logiche conseguenze dai principi generali che sono a fondamento della sua stessa azione. Ha preferito addentrarsi in un labirinto di norme, variamente disseminate ed assoggettate a continue trasformazioni, che hanno originato una situazione caotica, carica di incertezze e foriera di ritardi e pregiudizi. Ce n’è abbastanza per svolgere una riflessione sul modo in cui funzionano (o non funzionano) alcuni meccanismi del nostro sistema giudiziario e per invocare un intervento normativo, tutt’altro che complicato, che possa porre rimedio agli odierni paradossi.

2. Lo scenario delle notificazioni in via telematica.

In verità, al momento dell’introduzione della facoltà di effettuare notifiche di atti giudiziari per via telematica, le pubbliche Amministrazioni potevano essere considerate le prime e più naturali destinatarie della nuova metodologia. Dalla combinazione del citato art. 1 della l. 53/1994, e dell’art. 3, comma 3 bis, della legge 53/1994, nel testo introdotto dall’art. 25, comma 3, lett. a) e b), della l. 183/2011, si desumeva la possibilità di effettuare notifiche telematiche alla condizione che l’avvocato fosse autorizzato ad effettuare le notifiche in proprio; che fosse rispettata la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici (salve diverse disposizioni dell’autorità giudiziaria), e che l’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultasse da pubblici elenchi [2].
Le Pubbliche Amministrazioni, a propria volta, dovevano ritenersi in possesso di un indirizzo idoneo, essendo state obbligate ad istituire una casella di posta certificata in base alle disposizioni già contenute nell’art. 47, comma 3, lettera a), del CAD [3], poi reiterate dall’art. 16, comma 8, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, modificato dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2. Tale norma ha disposto infatti che: «Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, qualora non abbiano provveduto ai sensi dell’articolo 47, comma 3, lettera a), del Codice dell’Amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, istituiscono una casella di posta certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6 per ciascun registro di protocollo e ne danno comunicazione al Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione, che provvede alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica».
Il previsto indice degli Indirizzi delle Pubbliche Amministrazioni (di seguito, “IPA”) è stato poi istituito mediante l’art. 17, comma 29, d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 3 agosto 2009, n. 102, che ha introdotto l’art. 57 bis nel CAD [4]. Si tratta, in assoluto, del primo registro di indirizzi di posta elettronica certificata istituito nel nostro ordinamento. Sembra quindi perfettamente logico che esso dovesse essere ritenuto valido per l’esecuzione di notificazioni nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni, nel rispetto dei principi generali che già si evincevano dalla disciplina della materia.
Con una tecnica di dubbio rigore sistematico, la disciplina delle notifiche telematiche è stata rimaneggiata una prima volta dall’art. 1, comma 19, n. 2), l. 24 dicembre 2012, n. 228, che ha introdotto gli artt. 16 ter e 16 quater nel d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221. In particolare, l’ art. 16 quater, lett. c) e d), ha abrogato, con effetto dal 1° gennaio 2013, l’art. 3, comma 3 bis, della l. 53/1993 e lo ha sostituito con l’art. 3 bis. La nuova norma ha dettato una disciplina più dettagliata delle notifiche telematiche, lasciando tuttavia formalmente invariata la disposizione, già contenuta nella norma abrogata, secondo cui «la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi» [5].
In realtà, il contenuto del nuovo art. 3 bis della l. 53/1993 è stato surrettiziamente integrato dall’art. 16 ter del d.l. n. 179 del 2012, introdotto dal medesimo art. 1, comma 19, n. 2), della l. 228/2012, che costituisce la fonte comune delle due norme. Mentre l’art. 3 bis della l. 53/1993 fa indistinto riferimento ad un qualsiasi “pubblico elenco”, l’art. 16 ter del d.l. 179/2012, nel suo testo originale, ha disposto che: «A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto; dall’articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, dall’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia». Quindi, per effetto della novella, per effettuare una notifica telematica non è più sufficiente che il destinatario sia titolare di un indirizzo di posta elettronica certificata e che tale indirizzo risulti da un pubblico elenco, ma è necessario che tale pubblico elenco rientri tra quelli specificamente indicati nel predetto art. 16 ter del d.l. 179/2012 [6].
Originariamente, ciò non ha alterato la facoltà di effettuare notifiche telematiche alle pubbliche Amministrazioni. Al contrario, tale possibilità si è addirittura ampliata. Invero, tra i registri pubblici ammessi figuravano: per un verso quelli previsti dall’art. 16 del d.l. 185/2008, e per un altro verso quello di cui all’art. 16, comma 12, dello stesso d.l. 179/2012. Tra i primi doveva ritenersi compreso il predetto registro IPA, cui si riferisce l’ottavo comma dell’art. 16 del d.l. 185/2008, che intendeva dare effettività all’art. 47, comma 3, lettera a), del CAD; ad esso si aggiungeva l’ulteriore registro delle Pubbliche Amministrazioni (PP.AA.) istituito dall’art. 16, comma 12, del d.l. 179/2012, allo specifico fine di «favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni» [7].
Il sistema normativo è improvvisamente ed impercettibilmente cambiato a seguito delle ulteriori modifiche introdotte dall’art. 45 bis e dall’art. 47 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014, n. 114. Quest’ultima norma ha prorogato al 30 novembre 2014 il termine (originariamente fissato al 17 giugno 2013) entro il quale le Pubbliche Amministrazioni avrebbero dovuto comunicare al Ministero della Giustizia l’indirizzo da inserire nel registro degli indirizzi pec delle PP.AA., a cui effettuare le notificazioni e le comunicazioni; contestualmente, il secondo comma, lett. a), n. 1), dell’ art. 45 bis, introdotto dalla legge di conversione, ha disposto che tra gli elenchi pubblici utilizzabili per le notificazioni dovessero ritenersi compresi non tutti quelli previsti dall’articolo 16 del d.l. 185/2008 (tra cui il registro IPA di cui all’ottavo comma), ma solo quello previsto dal sesto comma dello stesso articolo (e cioè il solo registro INI-PEC previsto dal suddetto comma per le imprese costituite in forma societaria). In tal modo, il registro IPA tenuto da DigitPA (e poi dall’AgID), liberamente consultabile, è misteriosamente scomparso dall’elenco dei registri utili per le notifiche, ed è rimasto valido solo l’analogo registro PP.AA., ad accesso riservato, istituito dall’art. 16, comma 12, del d.l. 179/2012 e tenuto dal Ministero della Giustizia.
È avvenuto che, secondo le statistiche note, meno del 3% delle Pubbliche Amministrazioni tenute ad iscriversi in quest’ultimo registro ha adempiuto al proprio obbligo. Ne è derivato che il registro IPA non è più valido, perché non più contenuto nell’elenco dei registri utili, e che il registro degli indirizzi delle PP.AA. non è concretamente utilizzabile, salvo rarissimi casi, per il volere tacitamente espresso dalle Amministrazioni interessate con il proprio comportamento inerte [8].

3. I paradossi normativi.

Con un colpo di magia, con la sola aggiunta delle parole «comma 6» al testo dell’art. 16 ter del d.l. 179/2012, il legislatore è riuscito così a vanificare in un solo tratto la facoltà di effettuare notifiche via pec alle Pubbliche Amministrazioni (o, quanto meno, al 97% di esse che ha rifiutato di iscriversi nel registro delle PP.AA.). Inoltre, egli ha ben occultato l’inopinata novità legislativa, atteso che:
a) il divieto è di per sé ingannevole, perché si pone in manifesto contrasto con i principi generali relativi alla informatizzazione del processo e dell’amministrazione pubblica;
b) la norma di carattere generale, contenuta nell’art. 3 bis della l. 53/1994, si limita a prescrivere che la notifica sia effettuata ad un qualunque “pubblico registro”, senza neppure richiamare la norma speciale contenuta nel citato art. 16 ter del d.l. 179/2012, che invece delimita l’ambito dei “pubblici registri” utilizzabili a fini notificatori;
c) fatta eccezione per il Reginde, il predetto art. 16 ter del d.l. 179/2012 non contiene l’enumerazione espressa dei “pubblici registri” utilizzabili ai fini delle notifiche, ma si limita ad effettuare un complicato rinvio alle norme che li hanno istituiti;
d) il registro IPA (che la novella del 2014 ha soppresso dall’elenco) ed il registro PP.AA. (che ha lasciato invece sopravvivere) sono obiettivamente confondibili, avendo le finalità analoghe e riguardando le stesse amministrazioni pubbliche.
In aggiunta, il legislatore mostra un certo grado di ironia. L’interprete che riesce a districarsi nel complicato puzzle innanzi descritto e che finisce per individuare il residuale strumento che consente di effettuare le notifiche telematiche alle Pubbliche Amministrazioni, perviene al registro delle PP.AA. di cui all’art. 16, comma 12, del d.l. 179/2012, istituito al dichiarato fine di «favorire le comunicazioni e notificazioni per via telematica alle pubbliche amministrazioni», e scopre che esso costituisce una scatola sostanzialmente vuota!
Gli atti parlamentari non consentono di individuare le ragioni della novella. L’art. 45 bis del d.l. 90/2014 fa parte di un maxi-emendamento introdotto dal governo, dietro presentazione di mozione di fiducia, nel corso della discussione della legge di conversione nell’aula del Senato; ed i lavori parlamentari si limitano a riportare il testo della proposta governativa, senza fornire giustificazioni [9].
Si può ipotizzare che il legislatore abbia inteso scindere radicalmente le notificazioni degli atti giudiziari dalla restante corrispondenza istituzionale delle PP.AA., per evitare possibili confusioni e prevenire ipotetici disguidi. Per tale scopo, egli ha voluto riservare alle notifiche lo specifico registro delle PP.AA. ad esse dedicato, anche se che l’originario termine, entro cui esso avrebbe dovuto essere implementato, era vanamente scaduto da oltre un anno (17 giugno 2013), e sebbene non fosse affatto certo che le Amministrazioni inerti avrebbero adempiuto ai relativi obblighi entro il nuovo termine del 30 novembre 2014, fruendo della proroga disposta dall’art. 47 dello stesso decreto-legge.
Non si ravvisano peraltro motivi logici per i quali il registro IPA non potesse continuare ad assolvere anche alla finalità qui in esame. Al contrario, numerosi argomenti dimostrano il contrario.
Sotto un primo profilo, va considerato che il quarto comma dell’art. 3 bis della l. 53/1994 impone al notificante di trascrivere nell’oggetto del messaggio di trasmissione telematica le parole: “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994”. Ciò consente al destinatario di rilevare ictu oculi che trattasi della trasmissione di un atto giudiziario e di evitare possibili confusioni con altro genere di corrispondenza. La diversificazione dei registri può risultare quindi opportuna per maggiore comodità dei destinatari, ma niente affatto indispensabile.
Per altro verso, la modifica dell’art. 16 ter del d.l. 179/12 ha lasciato sopravvivere le disposizioni contenute negli artt. 5, primo comma, e 7, quinto comma, del d.m. 23 dicembre-2013, n. 163, che disciplina l’uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario, in attuazione delle disposizioni contenute nell’articolo 39, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A tenore di tali norme, le notificazioni e le comunicazioni telematiche nel processo tributario «sono eseguite mediante la trasmissione dei documenti informatici all’indirizzo di PEC di cui all’articolo 7», e perciò, per quanto attiene agli enti impositori, all’indirizzo di posta elettronica «individuato dall’articolo 47, comma 3, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, pubblicato nell’IPA». Ne consegue che, senza alcuna apparente ragione, il registro IPA è valido nel processo tributario, e non nei processi che si svolgono dinanzi ad altre giurisdizioni (civile, amministrativo, contabile).
Infine, il registro IPA conserva validità per l’esecuzione delle comunicazioni e delle notificazioni a cura della cancelleria nei processi civili e per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma degli articoli 148, comma 2 bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale; e ciò in quanto per tali casi l’art. 16, comma 4, del d.l. 179/2012 prescrive di adottare esclusivamente le modalità telematiche, utilizzando qualunque «indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici». Ancora una volta, si configura una disparità che non trova nessuna giustificazione sull’astratto piano logico.
Per graduare il passaggio da un registro all’altro, senza creare improvvisi vuoti, il legislatore avrebbe potuto adottare numerose soluzioni. A titolo esemplificativo, avrebbe potuto disporre che, in mancanza di diversa comunicazione da parte delle Amministrazioni interessate, nel nuovo registro PP.AA. trasmigrassero ex officio gli stessi indirizzi pec risultanti dal registro IPA; o avrebbe potuto prevedere che, fino al momento della comunicazione dei nuovi indirizzi pec al registro delle PP.AA., continuassero ad avere validità gli indirizzi risultanti dal registro IPA; o avrebbe potuto rendersi conto dei pregiudizievoli effetti provocati dalla sua riforma ed adottare un qualunque altro rimedio, che rispondesse comunque ai canoni della ragionevolezza. Non ha tuttavia adottato nessuna di queste possibili soluzioni, ritenendosi evidentemente soddisfatto del proprio operare.

4. Gli effetti della modifica normativa sul sistema di tutela dei diritti e degli interessi legittimi nei confronti della Pubblica Amministrazione.

L’esclusione delle notifiche alle Amministrazioni Pubbliche non iscritte nel registro delle PP.AA. dal novero delle notifiche telematiche, non è stata indolore. Molti ricorrenti sono caduti inavvertitamente nel tranello, con aggravio di oneri per la giustizia e con pregiudizi per l’effettività della tutela giurisdizionale.
L’esperienza insegna che alcune Amministrazioni diligenti non usano differenziare le notifiche effettuate all’indirizzo risultante dall’uno o dall’altro registro e, una volta rese edotte dell’azione proposta nei loro confronti nel rispetto dei requisiti sostanziali e delle specifiche tecniche dell’attività notificatoria, si costituiscono lealmente in giudizio, evitando di sollevare pretestuose eccezioni formali e sanando ogni ipotetica irregolarità. Nella maggior parte dei casi, però, esse preferiscono trincerarsi dietro alla mancanza di un valido indirizzo pec per le notifiche degli atti giudiziari, a causa dell’inosservanza dell’obbligo di iscriversi nel nuovo registro PP.AA. entro il prescritto termine del 30 novembre 2014, e si disinteressano quindi della controversia, scaricando sul giudice l’onere di verificare preliminarmente la regolarità del contraddittorio [10].
La giurisprudenza civile, dal canto suo, si è schierata per la soluzione più rigorosa, che coincide con quella più formalistica. Invero, la Corte di Cassazione ha più volte affermato la nullità della notificazione effettuata ad un indirizzo di posta elettronica risultante da un registro diverso da quelli espressamente individuati che dall’art. 16 ter, comma 1, del d.l. 179/2012 [11]. Questo indirizzo è normalmente seguito dalla giurisprudenza di merito [12].
Per fortuna, in ambito civile questo indirizzo restrittivo non è fonte di pregiudizi irreparabili. Trova pur sempre applicazione il principio recentemente espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui «Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia “ex tunc”, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c.» [13]. Ciò nonostante, tale vizio formale non è privo di conseguenze pregiudizievoli, perché genera ritardi che riducono l’effettività della tutela giurisdizionale.
Assai più variegato ed accidentato il fronte aperto sul versante della giustizia amministrativa. Su questo versante, il già citato art. 45 bis, comma 2, lett. a), del d.l. 90/2014, introdotto con il maxi-emendamento governativo presentato in sede di conversione, ha prodotto effetti ancor più prodigiosi di quelli illustrati innanzi: mentre con il n. 1) ha surrettiziamente ristretto l’ambito delle notifiche telematiche alle pubbliche Amministrazioni, rendendole impossibili alle Amministrazioni che non avessero adempiuto all’obbligo di comunicare l’indirizzo pec di destinazione allo speciale registro di cui all’art. 16, comma 12, del d.l. 179/2012, con il n. 2) ha introdotto nell’art. 16 ter dello stesso d.l. il comma 1 bis, che così recita: «Le disposizioni del comma 1 [e cioè le ormai note disposizioni che individuano gli elenchi validi ai fini delle notifiche telematiche: n.d.r.] si applicano anche alla giustizia amministrativa». Pertanto, chi si fosse avventurato ad effettuare la notifica di un ricorso amministrativo per via telematica, confidando nella disposizione ampliativa recata dal n. 2), e si fosse riferito, sulla base delle evidenze logiche e del sistema fino ad allora-vigente, all’ordinario indirizzo pec risultante dal registro IPA, si sarebbe esposto ad una ipotesi di nullità per effetto della modifica normativa annidata nel n. 1). In questo caso, le conseguenze non si esauriscono con una declaratoria di nullità, sanabile con la rinnovazione della notifica, ma si traducono in un’ipotesi di inammissibilità dell’azione proposta, per mancanza di una valida impugnazione eseguita nel termine decadenziale di 60 giorni dalla conoscenza del provvedimento impugnato, fatte salve la sanatoria che si può determinare per effetto della costituzione in giudizio del convenuto o l’eventuale rimessione in termini che il giudice adito volesse graziosamente concedere.
Su tali questioni, la giurisprudenza amministrativa ha adottato le soluzioni più varie.
Il primo e più drastico indirizzo conduce direttamente alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, sulla base degli stessi presupposti già affermati dalla giurisprudenza della Cassazione. In questa prospettiva, si è affermato che: «Nel quadro del vigente processo amministrativo telematico e secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, ai fini della validità della notifica per via telematica di un atto processuale a una amministrazione pubblica nel giudizio amministrativo, deve utilizzarsi in via esclusiva l’indirizzo p.e.c. inserito nell’elenco tenuto dal Ministero della Giustizia, di cui all’art. 16, comma 12, del d.l. n. 179/2012, viceversa, per le notifiche degli atti giudiziari all’amministrazione, in sede di giudizio amministrativo, non è validamente utilizzabile, in alternativa, l’indirizzo risultante dal registro IPA» [14].
In altri casi il giudice amministrativo ha dichiarato ammissibile il ricorso (non per validità della notificazione, ma) per intervenuta sanatoria della nullità, per effetto dell’intervenuta costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente. Ed invero: «La nullità di una notifica telematica, poiché effettuata presso altro indirizzo di posta elettronica certificata dell’amministrazione pubblica, è sanabile laddove il destinatario della stessa si sia costituito in giudizio, secondo il principio del raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156, comma 3, c.p.c., applicabile anche in ambito amministrativo» [15].
Secondo un altro orientamento, che appare oggigiorno prevalente, la notificazione ad un indirizzo pec non incluso in un registro tassativamente individuato dall’art. 16 ter del d.l. 179/2012 è nulla; e tuttavia il ricorrente, che sia incorso in un tale vizio, dovrà essere rimesso in termini ai sensi dell’art. 37 c.p.a. per errore scusabile, anche per evitare che l’Amministrazione, che si sia resa inadempiente all’obbligo di comunicare al Ministero della Giustizia l’indirizzo rilevante a tali fini, possa trarre indebito vantaggio dalla propria inerzia, in violazione dei principi di lealtà che devono ispirare la condotta processuale [16].
Un posto a sé merita l’indirizzo pretorio che, tagliando il nodo gordiano dei formalismi, afferma senza esitazioni la validità della notifica effettuata all’indirizzo pec dell’Amministrazione risultante dal registro IPA, per coerenza con il fenomeno della digitalizzazione del processo. Afferma il Consiglio di Stato che «l’amministrazione, secondo i canoni di autoresponsabilità e legittimo affidamento cui deve ispirarsi il suo leale comportamento, non può trincerarsi – a fronte di un suo inadempimento – dietro il disposto normativo che prevede uno specifico elenco da cui trarre gli indirizzi PEC ai fini della notifica degli atti giudiziari, per trarne benefici in termini processuali, così impedendo di fatto alla controparte di effettuare la notifica nei suoi confronti con modalità telematiche. Pertanto, deve ritenersi che l’Indice PA sia un pubblico elenco in via generale e, come tale, utilizzabile ancora per le notificazioni alle P.A., soprattutto se, come nel caso in esame, l’amministrazione pubblica destinataria della notificazione telematica è rimasta inadempiente all’obbligo di comunicare altro e diverso indirizzo PEC da inserire nell’elenco pubblico tenuto dal Ministero della Giustizia» [17].

5. Una possibile interpretazione “costituzionalmente orientata”

Nel variegato panorama delle interpretazioni e degli orientamenti che si sono innanzi richiamati, è mancata una riflessione sui profili di costituzionalità di una normativa come quella in esame, che subordini l’esercizio della potestà di effettuare notifiche telematiche alle Pubbliche Amministrazioni alla loro determinazione di comunicare il proprio indirizzo all’uopo dedicato all’apposito registro istituito ai sensi dell’art. 16, comma 8, del d.l. n. 179/2012. Eppure, tale sistema normativo si espone a dubbi di legittimità costituzionale, che appaiono rilevanti e non manifestamente infondati.
In primo luogo sembra violato, sotto plurimi profili, il principio di uguaglianza affermato dall’art. 3 Cost. Invero, le norme di legge in tema di notifica telematica si rivelano efficaci e vincolanti per i soli soggetti privati, e non pure per le Pubbliche Amministrazioni, che possono sottrarsi a tale genere di notificazioni e pretendere l’uso della modalità cartacea con l’espediente di astenersi dall’obbligo di iscrivere l’indirizzo di destinazione nell’apposito registro. Inoltre, la normativa in materia si applica in modo diseguale e differenziato alle Pubbliche Amministrazioni che abbiano proceduto a tale adempimento (nei cui confronti le notifiche telematiche potranno essere regolarmente effettuate allo specifico indirizzo pec regolarmente dichiarato) ed a quelle che non abbiano adempiuto (per le quali tale genere di notifica non si rende praticabile).
Sembra altresì violato il principio di buon andamento proclamato dall’art. 97 Cost. Sotto un primo profilo, la facoltà di sottrarsi all’efficacia delle disposizioni sulle notifiche telematiche, concessa alle Pubbliche Amministrazioni, nuoce all’efficienza del sistema processuale, perché impone il ricorso alla più onerosa notifica in formato cartaceo. In altra prospettiva, risulta violato il principio di lealtà, perché all’Amministrazione che si sottragga all’obbligo di comunicare all’apposito registro il proprio indirizzo dedicato alle notifiche è consentito: a) di imporre al ricorrente l’uso di modalità di notificazione più onerose di quelle comunemente ammesse dall’ordinamento; b) di trarre vantaggio dal suo inadempimento, nel caso in cui il ricorrente incorra in un’ipotesi di nullità della notifica per essersi avvalso, nelle predette circostanze, di un indirizzo pec tratto da un diverso registro pubblico. Infine, appare violato il principio di imparzialità, perché all’Amministrazione è concesso il potere discrezionale di sanare o non sanare la nullità che sia in tal modo verificata, costituendosi o non costituendosi in giudizio.
Infine, suscitano dubbi di costituzionalità, per violazione dei principi di razionalità e di effettività della tutela giurisdizionale, le disposizioni più generali che dispongono la nullità della notifica degli atti di parte che, nelle predette circostanze, sia effettuata ad un indirizzo pec che sia tratto da un elenco pubblico diverso da quello espressamente dedicato a tale scopo, pur offrendo le medesime garanzie di sicurezza e di affidabilità (come nel caso di notifica effettuata all’indirizzo IPA, che è comunque idoneo alla ricezione di comunicazioni e notificazioni di atti giudiziari da parte della Cancelleria, ai sensi dell’art. 16, comma 4, del d.l. 179/2012). In tal caso, infatti, la nullità appare una sanzione irragionevolmente sproporzionata, in relazione ad una violazione che assume carattere meramente formale ed appare priva di effetti lesivi.
Giova a tal punto verificare se, nelle predette circostanze, si possa adottare una interpretazione “costituzionalmente orientata”, che da un lato salvaguardi la posizione del ricorrente che, in mancanza di diversa possibilità, abbia effettuato una notifica telematica ad un indirizzo “sbagliato”, e da un altro lato sottragga all’Amministrazione il potere discrezionale di dettare le regole del processo e di imporre, a pena di nullità, una notifica in forma cartacea, anziché telematica. Un argomento ermeneutico in tal senso è offerto dall’art. 6 ter CAD, che consente di utilizzare il pubblico elenco di fiducia denominato “Indice dei domicili digitali della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi” (attuale denominazione del tradizionale registro IPA), per effettuare «le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi e i privati». Per favorire il rispetto di preminenti principi di rango costituzionale, non si può escludere che tra i “documenti” che si possono scambiare “ad ogni effetto di legge” per il tramite del suddetto indirizzo, possano essere ricompresi, in via interpretativa, gli atti giudiziari da notificare.

6. Riflessioni conclusive. Processo e norma.

Non si pretende che la soluzione interpretativa prospettata possa risolvere le incertezze e dissolvere le dispute. Si tratta di un’esercitazione a carattere prevalentemente (se non esclusivamente) teorico, destinata ad avere scarsa rilevanza sul piano concreto. È infatti fin troppo evidente che per l’operatore del diritto, che sia abituato a navigare tra le insidie del processo e ad evitare i trabocchetti di cui esso è disseminato, sarà sufficiente conoscere i rischi della notifica telematica per riesumare senza esitazione i tradizionali e più sicuri metodi della notifica cartacea, accollandosi i costi e gli oneri corrispondenti, pur di evitare le minacce che altrimenti incomberebbero sull’ammissibilità o sulla speditezza della propria azione.
Rimane da chiedere quale altra utilità concreta possa giustificare una così faticosa esegesi della normativa in esame, che riguarda un tema che non incide direttamente sui principi generali dell’ordinamento, ma si riferisce all’applicazione di una marginale regola di procedura, inserita in una normativa processuale in evoluzione. In realtà, un’attenta riflessione fa emergere una ragione più profonda, che va oltre i limiti dei problemi operativi e sconfina sul piano del metodo.
È verosimile che neppure l’ignoto autore della novella legislativa che ha originato le problematiche in esame, sospettasse che il proprio intervento fosse gravido di tante conseguenze di carattere applicativo. È probabile che con l’aggiunta delle parole «comma 6» nel testo dell’art. 16 ter del d.l. 179/2012, effettuata nell’ambito del maxi-emendamento introdotto all’ultim’ora nella fase di conversione del d.l. 50/2014, egli volesse aggiungere un piccolo tassello al corso di formazione del processo telematico, separando le pec destinate alla corrispondenza ordinaria da quelle dedicate alle notifiche degli atti giudiziari. A tal fine, egli ha inteso cogliere “al volo” l’occasione offerta dall’approvazione di una legge che, all’epoca, veniva salutata come una grande riforma della pubblica amministrazione e del sistema giudiziario.
L’esito non esattamente propizio di tale iniziativa non può essere archiviato come un semplice incidente di percorso, ma dovrebbe far riflettere sulla bontà di certe tecniche legislative, che consistono nel progressivo adattamento della normativa vigente mediante una continuativa attività di approvazione e soppressione di norme variamente disperse e la loro perenne modificazione a mezzo di interpolazioni e glosse. Come la fattispecie in esame dimostra ampiamente, questa tecnica non solo costringe l’interprete a procedere ad una incessante ricostruzione del sistema in atto, ma rischia anche di generare incertezze e vuoti normativi.
I padri del processo hanno insegnato che le norme di procedura realizzano un complesso e delicato equilibrio; esse devono essere chiare, semplici e ragionevoli, in modo da stabilire regole certe ed affidabili, che consentano di tutelare in modo efficace le posizioni giuridiche riconosciute dall’ordinamento. Il passaggio al processo telematico rappresenta una grande opportunità, che deve essere sfruttata con rigore e competenza e non può essere affidata ad interventi frettolosi e poco meditati.
Certo, la rapidità del progresso tecnologico e l’esigenza di procedere alla radicale trasformazione degli strumenti processuali, hanno richiesto una fase di graduale sperimentazione, che può aver giustificato la progressiva implementazione delle metodologie e frequenti modifiche disciplinari. Sembra tuttavia che questo fenomeno si sia spinto troppo avanti ed abbia prodotto una eccessiva frammentazione della normativa. Si impone quindi una complessiva riorganizzazione della materia, che offra agli operatori giuridici un quadro di riferimento più preciso ed organico.
La disciplina delle notificazioni costituisce un settore sufficientemente circoscritto, che si presta ad una complessiva revisione, così da pervenire ad un testo di legge completo ed omogeneo, che garantisca certezza, efficienza e sicurezza. Si potrebbe trattare peraltro di un primo passo, capace di stimolare ulteriori riflessioni sul più ampio tema del processo telematico. In questa prospettiva, non sembra fuori luogo accennare a due tematiche di rilevante portata, che potrebbero interessare un legislatore illuminato e previdente e che potrebbero apportare rapidi e significativi progressi al sistema giurisdizionale.
Il primo punto si riferisce all’opportunità di conservare distinti strumenti tecnologici per ciascuna tipologia di processo (civile, amministrativo, tributario, contabile), ciascuno contraddistinto da diverse regole tecniche, da diverse piattaforme e da diversi metodi di collegamento e di trasmissione. Tali differenze generano rilevanti difficoltà operative e non sembrano giustificate dalle specificità dei singoli sistemi giurisdizionali, essendo sostanzialmente identica la tipologia degli atti che interessano le distinte procedure (ricorsi, mandati, memorie, documenti probatori, ordinanze, sentenze, etc…).
Il secondo punto attiene alla possibilità di rinnovare il sistema delle udienze, introducendo sistemi di comunicazione a distanza. La video-conferenza rappresenta ormai uno strumento sempre più diffuso nel mondo della comunicazione, della didattica e degli affari; le misure di “distanziamento sociale” che caratterizzano l’attuale periodo di emergenza sanitaria ne sviluppano in modo esponenziale l’applicazione e le potenzialità.
Sembra ormai maturo il momento per introdurre tale tecnologia nel processo, nel rispetto di adeguate norme di sicurezza e nei limiti consentiti dalla natura dell’attività da espletare. Una simile misura, che appare relativamente semplice ed appartiene agli odierni orizzonti, sarebbe capace di produrre enormi economie, con straordinarie ricadute anche sulle relazioni sociali e sugli stili di vita.

Alessandro De Stefano

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[1] Nel testo attualmente vigente, risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 46, comma 1, lett. a), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014, n. 114, la norma così recita: «L’avvocato […], munito di procura alle liti a norma dell’art. 83 del codice di procedura civile e della autorizzazione del consiglio dell’ordine nel cui albo è iscritto a norma dell’art. 7 della presente legge, può eseguire la notificazione di atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale a mezzo del servizio postale, secondo le modalità previste dalla legge 20 novembre 1982, n. 890 ovvero a mezzo della posta elettronica certificata, salvo che l’autorità giudiziaria disponga che la notifica sia eseguita personalmente».
[2] L’art. 3, comma 3 bis, della l. 53/1993, nel testo introdotto dall’art. 25, comma 3, lett. b), l. n. 183 del 2011, disponeva che: «La notifica è effettuata a mezzo della posta elettronica certificata solo se l’indirizzo del destinatario risulta da pubblici elenchi. Il notificante procede con le modalità previste dall’articolo 149-bis del codice di procedura civile, in quanto compatibili, specificando nella relazione di notificazione il numero di registro cronologico di cui all’articolo 8».
[3] La norma disponeva che: «i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettere a) e b), provvedono ad istituire e pubblicare nell’Indice dei domicili digitali delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi almeno una casella di posta elettronica certificata per ciascun registro di protocollo».
I soggetti di cui alle lettere a) e b) dell’art. 2 sono rappresentati:
a) dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, (e cioè «tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300», ivi comprese le autorità di sistema portuale, nonché alle autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione;
b) dai gestori di servizi pubblici, ivi comprese le società quotate, in relazione ai servizi di pubblico interesse.
[4] La tenuta dell’indice era originariamente affidato al Centro Nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA). A seguito di successive modifiche della norma, introdotte dall’art. 40, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, dall’art. 6, comma 1, lett. d bis), d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, la tenuta dell’indice (ridenominato “indice degli indirizzi della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi”) è stato affidato a DigitPA.
L’art. 57 bis del CAD è stato quindi abrogato, a decorrere dal 14 settembre 2016, dall’art. 64, comma 1, lett. j), d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179. Contestualmente, l’art. 7, comma 2, dello stesso d.lgs. 179/2016, ha introdotto nel CAD l’art. 6 ter, successivamente modificato dall’art. 9, comma 1, lett. b), d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, che disciplina «il pubblico elenco di fiducia denominato “Indice dei domicili digitali della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi”, nel quale sono indicati i domicili digitali da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi e i privati». La tenuta di tale indice è affidata all’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), che può utilizzare a tal fine elenchi e repertori già formati dalle amministrazioni pubbliche.
[5] La norma così dispone: «La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi».
[6] Nel testo sostituito dall’ art. 66, comma 5, d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217 ed attualmente vigente, l’art. 16 ter così dispone: «A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia».
I registri pubblici così individuati sono:
a) l’indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti (INI-PEC), oggi disciplinato dall’art. 6 bis del CAD;
b) l’indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese, oggi disciplinato dall’art. 6 quater del CAD;
c) l’ormai noto elenco degli indirizzi delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 16, comma 8, del d.l. 179/2012;
d) il registro delle imprese, a cui le imprese costituite in forma societaria sono tenute a comunicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata al momento della domanda di iscrizione, ai sensi dell’art. 16, comma 6, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, l. 28 gennaio 2009, n. 2.
e) il registro generale degli indirizzi elettronici (RE.G.IND.E.), gestito dal Ministero della Giustizia, regolamentato dal d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n.24.
[7] La norma, come modificata dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2, così recita: «Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, qualora non abbiano provveduto ai sensi dell’articolo 47, comma 3, lettera a), del Codice dell’Amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, istituiscono una casella di posta certificata o analogo indirizzo di posta elettronica di cui al comma 6 per ciascun registro di protocollo e ne danno comunicazione al Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione, che provvede alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e si deve provvedere nell’ambito delle risorse disponibili».
Il registro è accessibile dal Portale dei Servizi Telematici (http://pst.giustizia.it/PST/).
[8] Afferma al riguardo il Tar Sicilia – sede di Catania – con sentenza del Sez. I, 11-06-2019, n. 1426: «È di tutta evidenza come il contegno omissivo serbato dall’Amministrazione rispetto all’obbligo di comunicazione dell’indirizzo PEC sancito dalla predetta norma, pur non precludendo radicalmente la notifica dell’atto processuale (residualmente possibile, infatti, mediante le tradizionali modalità cartacee), vanifichi il raggiungimento degli obiettivi di digitalizzazione della giustizia posti dal legislatore, rispetto ai quali la telematizzazione delle comunicazioni funge da fattore trainante. Una tale inerzia […], non potendo trovare ammissibile giustificazione in ragioni di carattere organizzativo, si riverbera d’altra parte negativamente sulla generalità degli operatori del processo amministrativo. Costoro, che prima della novella del 2014 avrebbero potuto comunque giovarsi di una modalità di comunicazione telematica rappresentata dalla notifica presso l’indirizzo PEC estratto dal registro IPA, attualmente, in caso di inerzia della PA nella comunicazione dell’indirizzo ex art. 16, co. 12, cit., potranno ricorrere esclusivamente alle tradizionali modalità di notifica cartacee, con un aggravio in termini materiali ed economici e in spregio alla normativa vigente e in particolare all’art. 16, comma 12, del D.Lgs. n. 179 del 2012».
[9] Cfr. Atto Senato n. 1464 – XVII legislatura, consultabile all’indirizzo web: http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/44347.htm.
[10] Emblematico il caso dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale (INPS), che non risulta iscritto nel registro di cui all’art. 12, comma 8, del d.l. n. 179/2012. Alcune Direzioni Provinciali “virtuose” accettano la notifica effettuata per via telematica al registro IPA; altre preferiscono ignorare gli atti così notificati ed omettono di costituirsi in giudizio.
[11] Cfr. Cass., ord. 09 maggio 2018, n. 11154, e Cass., ord. 09 giugno 2017, n. 14523, riferite entrambe ad ipotesi di notifiche effettuate ad indirizzo di posta elettronica certificata istituzionale dell’Avvocatura dello Stato, diverso da quello risultante dal Reginde.
[12] Nella giurisprudenza di merito, un isolato orientamento contrario è espresso dalla sentenza del Tribunale di Milano dell’ 8 dicembre 2016, n. 33200. Tale pronuncia ha ammesso la validità della notifica eseguita ad un indirizzo risultante dal registro IPA secondo un principio di parità delle parti. Essa osserva che, mentre una parte privata che comunica il proprio indirizzo pec è sempre tenuto a rispettare tale domiciliazione, la P.A. potrebbe sottrarsi alla notifica telematica comunicando la propria pec solo al registro IPA e non pure a quello tenuto dal Ministero della Giustizia.
[13] Cass., Sez. Unite, 14916 del 20 luglio 2016, n. 14916. In senso analogo, Cass., sentenza 9 marzo 2018, n. 5663; Cass., ord. 11154/2018, cit.
[14] T.A.R. Campania, sede di Napoli, Sez. I, 18 giugno 2019, n. 3360. Nello stesso senso, T.A.R. Calabria, sede di Reggio Calabria, 11 aprile 2019, n. 223; Id., 26 novembre 2018, n. 702; T.A.R. Basilicata, Sez. I, 20 febbraio 2019, n. 177; Id., 27 luglio 2018, n. 508; T.A.R. Liguria, Sez. II, 25 settembre 2018, n. 742.
[15] T.A.R. Lazio, sede di Roma, Sez. II bis, 19 febbraio 2019, n. 2249. In senso analogo, T.A.R. Campania, sede di Napoli, Sez. I, 22 ottobre 2018, n. 6129; T.A.R. Lombardia, sede di Brescia, sentenza 26 febbraio 2018, n. 234; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sentenza 5 febbraio 2018, n. 28; T.A.R. Lombardia, sede di Milano, sez. IV, 24 ottobre 2016, n. 1950; T.R.G.A. Trento, 15 febbraio 2016 n. 86.
[16] Nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. III, 22 ottobre 2019, n. 7170; Id., sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5891; Cons. giust. amm. Sicilia, 16 luglio 2018, n. 423; Id., sentenza 12 aprile 2018, n. 217; T.A.R. Campania, sede di Napoli, Sez. II, 07 febbraio 2020, n. 597; Tar Sicilia, sede di Palermo, 22 gennaio 2018, n. 179; Id., 1° dicembre 2017, n. 2779; Tar Molise, 13 novembre 2017, n. 420.
[17] Cons. Stato, sez. V, sentenza 10 dicembre 2018, n. 7026. Nello stesso senso, Cons. Stato, sez. III, sentenza 27 febbraio 2019, n. 1379.