Con sentenza del 6 novembre 2018, resa nelle cause riunite da C-622/16 P a C-624/16 P, la Corte di Giustizia E.U. ha dichiarato ammissibili, ai sensi dell’art. 263, comma 3, TFUE, i ricorsi proposti da due soggetti privati dinanzi al Tribunale dell’Unione Europea avverso la decisione della Commissione che aveva dichiarato illegittime le norme nazionali sull’esenzione degli enti commerciali dall’ICI (ma non pure quelle che concedono analoga esenzione dall’IMU), ma aveva ritenuto non recuperabili gli aiuti concessi mediante la predetta sanzione. La sentenza può leggersi utilizzando il seguente link: Clicca qui: http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?oqp=&for=&mat=or&jge=&td=%3BALL&jur=C%2CT%2CF&num=c-622%252F16&page=1&dates=&pcs=Oor&lg=&pro=&nat=or&cit=none%252CC%252CCJ%252CR%252C2008E%252C%252C%252C%252C%252C%252C%252C%252C%252C%252Ctrue%252Cfalse%252Cfalse&language=it&avg=&cid=1961333
Sul tema della legittimazione ad agire avverso siffatte decisioni riportiamo di seguito il commento dell’avv. Maurizio Fiorilli.

La legittimazione ad impugnare gli atti regolamentari nel diritto dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 263, comma 3, TFUE.

1. I ricorsi dinanzi alle giurisdizioni europee avverso la decisione della Commissione del 19 dicembre 2012 in tema di esenzioni ICI ed IMU – 2. La ricevibilità dei ricorsi avverso provvedimenti generali nella giurisprudenza europea – 3. Le disposizioni dell’art. 263, comma 4, TFUE – 4. La nozione di “atto regolamentare” nel diritto europeo – 5. L’interesse diretto a ricorrere ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE – 6. La legittimazione a ricorrere avverso le decisioni relative alla concessione di aiuti illegali nella giurisprudenza europea – 7. La legittimazione a ricorrere nella vicenda in contestazione.

1. Con decisione del 19 dicembre 2012, la Commissione ha dichiarato ai sensi dell’art. 263, comma 4, TFUE che l’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili («ICI») concessa dall’Italia agli enti non commerciali (come gli istituti scolastici o religiosi) che svolgono negli immobili in loro possesso determinate attività (quali le attività scolastiche o alberghiere) costituisce un aiuto di Stato illegale. La Commissione non ne ha tuttavia ordinato il recupero, ritenendolo assolutamente impossibile. La Commissione ha affermato inoltre che l’esenzione fiscale prevista dal nuovo regime italiano dell’imposta municipale unica («IMU»), applicabile in Italia dal 1° gennaio 2012, non costituisce un aiuto di Stato.
L’istituto d’insegnamento privato Scuola Elementare Maria Montessori («Scuola Montessori») e il sig. Pietro Ferracci, proprietario di un «Bed & Breakfast», hanno chiesto con due distinti ricorsi al Tribunale dell’Unione europea di annullare tale decisione della Commissione. Essi hanno lamentato, in particolare, che tale decisione li ha posti in una situazione di svantaggio concorrenziale rispetto agli enti ecclesiastici o religiosi situati nelle immediate vicinanze che esercitavano attività simili alle loro e potevano beneficiare delle esenzioni fiscali in questione.
La Commissione ha obiettato che né la Scuola Montessori né il sig. Ferracci erano legittimati a proporre ricorso ai giudici dell’Unione ai sensi dell’art. 263, comma 4, del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”).
Il Tribunale dell’Unione Europa con sentenze del 15 settembre 2016, in causa T-220/13, Scuola elementare Maria Montessori, e T-219/13, Ferracci, ha dichiarato i ricorsi ricevibili, ma li ha respinti nel merito in quanto infondati.
Sia le parti private (cause C-622/16 e C-623/16) che la Commissione, sostenuta dalla Repubblica Italiana (causa C-624/16), hanno impugnato le sentenze. La Commissione ha dedotto che il Tribunale avrebbe interpretato ed applicato erroneamente ciascuno dei tre requisiti cumulativi di cui all’articolo 263, comma 4, terza frase, TFUE; e ciò, in quanto non ogni atto di portata generale non legislativo è necessariamente un “atto regolamentare” ed è erroneo dedurre la natura generale della decisione di illegittimità di un aiuto di Stato dalla sua portata generale e attribuire una tale portata all’esonero dalla sua restituzione.
La Corte di Giustizia con sentenza 6 novembre 2018, riuniti i ricorsi, ha annullato la decisione del Tribunale sul punto relativo all’assolvimento dell’obbligo di recupero per difetto di istruttoria sulla impossibilità materiale del recupero, ed ha confermato la legittimazione ad agire delle parti private ai sensi dell’articolo 263, terza frase del quarto comma, TFUE.

2. Le facoltà di tutela giuridica dei singoli rispetto agli atti dell’Unione di portata generale rappresentano da tempo una delle questioni più dibattute del diritto europeo. A partire della sentenza Plaumann la Corte di Giustizia ha fornito con una costante giurisprudenza – dapprima in relazione all’articolo 173 C(E)E e successivamente all’articolo 230 CE – un’interpretazione relativamente restrittiva della legittimazione diretta ad agire delle persone fisiche e giuridiche. Nonostante alcune critiche, la Corte di giustizia si è attenuta alla suddetta giurisprudenza confermandola soprattutto nelle sentenze Unión de Pequeños Agricultores e Jégo Quéré .
Come reazione a questa giurisprudenza, nel Trattato di Lisbona si è pervenuti ad una nuova disciplina della legittimazione ad agire dei singoli, entrata in vigore il 1° dicembre 2009. Da allora l’articolo 263, quarto comma, TFUE consente alle persone fisiche e giuridiche anche di proporre un ricorso d’annullamento «contro gli atti regolamentari che l[e] riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione».
La sentenza della Corte di Giustizia 6 novembre 2016 nelle cause riunite da C-622/16 P a C-624/16 P esamina per la prima volta sulla base dell’articolo 263, quarto comma, terza frase, TFUE, la questione della ricevibilità dei ricorsi proposti da concorrenti di beneficiari di un regime di aiuti di Stato contro una decisione della Commissione la quale dichiari che gli aiuti concessi in base ad un regime illegale non possono essere recuperati.

3. L’art. 263, comma 4, TFUE dispone: “Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni previste dal primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti (1) o che la riguardano direttamente e individualmente (2) e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura di esecuzione (3)”. Le prime due parti (1 e 2) della disposizione normativa corrispondono a quelle dell’articolo 230 TCE, mentre la terza è stata introdotta dal Trattato di Lisbona.
L’interpretazione e l’applicazione della legittimazione ad agire delle persone fisiche e giuridiche ai sensi dell’art. 263, comma 4, TFUE rivestono una importanza fondamentale per la realizzazione di una tutela giurisdizionale effettiva delle posizioni soggettive tutelate dal diritto europeo. Esse, tuttavia, hanno anche effetti significativi sulla delimitazione della competenza e delle attribuzioni fra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali.
La terza parte della disposizione normativa in rassegna specifica che qualora la persona fisica o giuridica che intende proporre il ricorso non sia il destinatario dell’atto impugnato, la ricevibilità del ricorso è subordinata alla circostanza che l’atto non comporti alcuna misura di esecuzione e la riguardi “direttamente” e non anche individualmente.
La disposizione attiene ai requisiti di ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche o giuridiche avverso una specifica categoria di atti ad effetti generali. Infatti tale parte della disposizione, senza subordinare la ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche o giuridiche al requisito dell’incidenza “individuale”, apre tale mezzo di ricorso nei confronti degli “atti regolamentari” che non comportino alcuna misura di esecuzione e che riguardino il ricorrente direttamente.
La applicazione della norma nella fattispecie in giudizio ha posto quattro questioni giuridiche: a) la delimitazione della nozione di “atto regolamentare che non comporta alcuna misura d’attuazione” e b) di “incidenza diretta” dell’atto medesimo; c) la qualificazione del provvedimento di esonero dal recupero dell’aiuto di Stato illegittimo come “atto regolamentare” e (d) la individuazione dei soggetti incisi in via “diretta” dall’esonero.

4. La nozione di “atto regolamentare” non è definita in alcun punto dei Trattati, ma è certo che si dovrà sempre trattate di un atto giuridico europeo di portata generale. Un atto ha portata generale se si applica a situazioni determinate obiettivamente e se produce i suoi effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in maniera generale e astratta
Ciò però non significa necessariamente che tutti gli atti giuridici europei di portata generale siano allo stesso tempo atti regolamentari. In particolare, sarebbe avventato ritenere che tutti gli atti di portata generale siano allo stesso tempo “atti regolamentari” a prescindere che si tratti di atti legislativi o no. L’interpretazione della espressione “atto regolamentare” non deve tenere conto della finalità della disposizione interessata del Trattato, quanto del contesto in cui si inserisce e della sua genesi.
La riformulazione dell’ex articolo 230, quarto comma, CE da parte del vigente articolo 263, quarto comma, TFUE aveva indubbiamente per finalità di estendere la tutela dei diritti individuali ampliando le possibilità delle persone fisiche e giuridiche di esperire ricorso contro gli atti giuridici di portata generale dell’Unione. Se considerata di per sé, tale finalità comporta una interpretazione estensiva della nozione di “atto regolamentare”. Con l’introduzione di tale ulteriore legittimazione ad agire gli estensori del Trattato di Lisbona hanno ottenuto lo scopo di rafforzare la tutela dei diritti individuali non solo ampliando la possibilità per le persone fisiche e giuridiche di ricorso diretto ai sensi della terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, ma anche perseguendo in parallelo, con l’art. 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, il rafforzamento della tutela dei diritti individuali offerta dai giudici nazionali nei settori disciplinati dal diritto europeo.
La lettura congiunta dell’articolo 263, quarto comma, TFUE e dell’articolo 19, paragrafo 1, comma 2, TUE permette di concludere che le potestà del singolo di ottenere tutela giurisdizionale contro gli atti giuridici dell’Unione di portata generale non devono necessariamente consistere sempre nella facoltà di adire direttamente i giudici dell’Unione. Il fatto che vi siano differenze specialmente nei requisiti di ricevibilità del ricorso di annullamento, a seconda che quest’ultimo abbia ad oggetto un atto legislativo oppure un atto regolamentare, emerge peraltro dal combinato disposto dei diversi paragrafi dell’art. 263 TFUE. Il primo tratta di “atti legislativi”, mentre il quarto fa riferimento ad “atti regolamentari”.
Queste differenze di scelta terminologica, che non si possono ritenere casuali, sono espressione del fatto che, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, alle diverse categorie di ricorrenti spettano da sempre possibilità di ricorso diretto di portata diversa. Mentre i ricorrenti privilegiati, ai sensi dell’articolo 263, secondo comma, TFUE e i ricorrenti che lo sono parzialmente, ai sensi del terzo comma dell’art. 263 TFUE, sono legittimati a proporre ricorso contro tutti i tipi di atti dell’Unione indicati nel primo comma, atti legislativi inclusi, la legittimazione attiva diretta delle persone fisiche e giuridiche di cui al quarto comma dell’art. 263 TFUE è da sempre limitata a determinati atti dell’Unione. Una possibilità di ricorso semplificato è concessa dalla terza ipotesi di legittimazione ad agire del quarto comma dell’articolo 263 TFUE solo contro gli “atti regolamentari” e non contro gli atti legislativi. I singoli, individuati dalla seconda ipotesi della disposizione del quarto comma dell’art. 263 TFUE potranno impugnare direttamente gli atti legislativi solo se li riguardano direttamente e individualmente. Il fatto che al singolo non siano date possibilità semplificate per ricorrere direttamente contro gli atti legislativi è spiegabile in particolare con la legittimità democratica particolarmente forte della legislazione parlamentare. Di conseguenza, la distinzione tra atti legislativi e non legislativi sotto il profilo della tutela giurisdizionale non può essere liquidata come mero formalismo e si fonda invece su una distinzione qualitativa ed è legata alla genesi della disposizione normativa.
Il fatto che a tutt’oggi nel sistema dei Trattati europei non siano attribuite ai singoli possibilità di ricorso semplificate contro gli atti legislativi trova conferma se si considera la genesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. Questa norma, che risale ai lavori della Convenzione europea, in origine doveva far parte del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa («Trattato costituzionale») , come articolo III 365, quarto comma. In virtù dei suoi articoli da I 33 a I 37, il Trattato costituzionale poggiava su una distinzione ed un’articolazione gerarchica chiare tra atti legislativi e non legislativi, nel cui ambito il «regolamento europeo» era classificabile esclusivamente nella seconda categoria in quanto «atto non legislativo di portata generale» (articolo I 33, paragrafo 1, quarto comma, prima frase, del Trattato costituzionale). Se quindi l’articolo III 365, paragrafo 4, del Trattato costituzionale trattava della possibilità per le persone fisiche e giuridiche di ricorrere contro gli «atti regolamentari», era manifesto che ciò riguardava solo gli atti non legislativi.
Ciò è confermato anche dai documenti della Convenzione europea relativi all’articolo III 270, paragrafo 4, del progetto di Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa , cioè la norma che poi si è ritrovata nel Trattato costituzionale come articolo III 365, paragrafo 4. Secondo tali documenti la formulazione «atti giuridici di portata generale», pur essendo stata discussa dalla Convenzione, è stata alla fine scartata e sostituita definitivamente con la nozione meno ampia di «atti regolamentari», destinata a esprimere la distinzione tra atti legislativi e non legislativi . Il fatto che in quasi tutte le versioni linguistiche il testo dell’articolo III 365, paragrafo 4, del Trattato costituzionale sia stato ripreso alla lettera dal Trattato di Lisbona porta a concludere che anche nell’attuale articolo 263, quarto comma, TFUE non si intendano compresi gli atti legislativi laddove si parla di atti regolamentari. Ciò trova chiara espressione soprattutto nelle numerose versioni linguistiche del Trattato FUE in cui, per individuare gli «atti regolamentari», si ricorre a una formulazione che fa pensare all’emanazione di norme da parte non tanto dell’organo legislativo quanto dell’organo esecutivo.
Il Trattato di Lisbona certo non sistematizza né articola gerarchicamente gli atti giuridici dell’Unione in modo paragonabile al Trattato costituzionale. Nel sistema del Trattato UE e del Trattato FUE gli atti legislativi possono assumere anche la forma di regolamenti, ai sensi dell’articolo 288, secondo comma, TFUE. Attualmente la distinzione tra atti legislativi e non legislativi ha un significato per lo più procedurale, per esempio negli articoli 290, primo comma, e 297 TFUE. Stanti tali differenze tra il Trattato costituzionale e i Trattati oggi in vigore, si potrebbe teoricamente ipotizzare di attribuire un significato diverso alla nozione di «atti regolamentari» di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE e di intenderla in senso più ampio di quanto non fosse nelle intenzioni della Convenzione europea e degli estensori del Trattato costituzionale, in modo da poter annoverare tra gli atti regolamentari anche gli atti legislativi.
Questa interpretazione estensiva della nozione di «atti regolamentari» sarebbe però difficile da conciliare con il mandato della Conferenza intergovernativa del 2007 che ha negoziato il Trattato di Lisbona. Tale Conferenza era incaricata da un lato di abbandonare il progetto di Costituzione su cui poggiava il Trattato costituzionale e per il resto di non rimettere in questione ciò che si era ottenuto con la firma del Trattato. Il contenuto del «prodotto finale» della Conferenza intergovernativa doveva quindi corrispondere per quanto possibile al mancato Trattato costituzionale e se ne doveva discostare per difetto solo in alcuni punti particolarmente simbolici. Secondo il mandato della Conferenza intergovernativa del 2007, andava mantenuta «ferma (…) la distinzione tra atti legislativi e non legislativi e relative conseguenze» .
Date le premesse è altamente improbabile, né esiste un qualsiasi indizio concreto in tal senso, che la Conferenza intergovernativa intendesse andare oltre il Trattato costituzionale, nello specifico con l’articolo 263, quarto comma, TFUE. Oltretutto ci si sarebbe dovuti attendere dagli estensori del Trattato di Lisbona che avessero reso riconoscibile un ampliamento delle possibilità di ricorso dei singoli, rispetto all’articolo III 365, paragrafo 4, del Trattato costituzionale, nella formulazione di tutte le versioni linguistiche dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, per esempio impiegando la nozione di «atti di portata generale» discussa nella Convenzione europea ma alla fine in tal sede scartata. Tanto più che quest’ultima formulazione è di uso assai corrente in altri punti del TFUE (v. articolo 277 TFUE; articolo 288, secondo comma, prima frase, TFUE, e articolo 290, primo comma, TFUE).
La nozione di “atti regolamentari” utilizzata nell’art. 263, comma 4, terza ipotesi, deve, dunque, essere interpretata nel senso di comprendervi tutti gli atti giuridici dell’Unione di portata generale tranne gli atti legislativi.
L’articolo 288 TFUE definisce come “atto legislativo” l’atto che viene adottato in applicazione di una procedura legislativa (art. 289 TFUE), indipendentemente dal fatto che esso assuma la forma di regolamento, direttiva o decisione. Le Alte Parti contraenti hanno deliberatamente scelto di subordinare la natura dell’atto legislativo ad un aspetto di procedura piuttosto che di contenuto, considerando che, per essere riconosciuto e accettato dalla generalità di soggetti, l’atto legislativo – l’atto di diritto derivato di rango più elevato – deve necessariamente emanare dalle Istituzioni che incarnano la doppia legittimità dell’Unione: il Parlamento (il popolo) e il Consiglio (gli Stati). Senonché, pur rientrando i regolamenti e le decisioni, come le direttive, nella tipologia degli atti giuridici adottabili con procedura legislativa (articolo 289, paragrafi 1 e 2 TFUE), solo un numero di gran lunga inferiore di questi atti dell’Unione Europea è posto in essere con tale procedura. Anche atti non legislativi possono assumere la forma di regolamenti, direttive e decisioni (articolo 297, paragrafo 2, TFUE). In particolare, in moti casi il Consiglio o la Commissione adottano regolamenti per dare esecuzione ad atti legislativi oppure nel quadro di una procedura sui generis. Nel caso delle decisioni è addirittura la regola che siano adottate con procedure diverse da quella legislativa, per lo più dal Consiglio o dalla Commissione, e che poi siano eventualmente considerate atti regolamentari, tanto più se non si rivolgono a destinatari designati (articolo 288, quanto comma, TFUE con interpretazione a contrario). Anche gli atti di esecuzione di cui all’art. 291 TFUE quando hanno portata generale, come avviene di norma per i regolamenti di esecuzione e spesso per le decisioni di esecuzione, devono essere considerati “atti regolamentari”.

5. Il criterio dell’interesse diretto, contenuto nell’articolo 263, quarto comma, TFUE non può essere interpretato nel senso che vi sia interesse diretto nel solo caso in cui l’atto contestato produca direttamente effetti sulla situazione giuridica della persona fisica o giuridica e non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari incaricati della sua applicazione, la quale ha carattere meramente automatico e deriva dalla normativa dell’Unione senza intervento di altri interventi; e ciò in quanto sono ripetutamente ammessi in giurisprudenza ricorsi di annullamento proposti da singoli contro atti giuridici dell’Unione che producono su di loro effetti di natura non giuridica ma semplicemente reale, ad esempio perché incidono direttamente sulla loro qualità di operatori di mercato in concorrenza con altri operatori .
Nell’ambito della procedura di controllo degli aiuti di Stato, le decisioni adottate dalla Commissione hanno unicamente per destinatari gli Stati membri interessati. Secondo una costante giurisprudenza, inaugurata dalla sentenza Plaumann/Commissione , i soggetti diversi dai destinatari di una decisione possono sostenere di essere interessati ai sensi dell’art. 230, quarto comma, CE solo se detta decisione li concerne a causa di determinate qualità loro particolari e di una situazione di fatto che li caratterizzi rispetto a chiunque altro e quindi li distingua in modo analogo ai destinatari. Nel settore degli aiuti di Stato, tale regola è stata inizialmente precisata nella sentenza Cofaz . Prendendo spunto dalla giurisprudenza relativa ai ricorsi contro decisioni adottate dalla Commissione in base al regolamento n. 17/62 , la Corte ha riconosciuto in tale sentenza che sono legittimati ad agire contro una decisione adottata al termine del procedimento di indagine formale i concorrenti dei beneficiari di un aiuto di Stato che hanno preso parte attivamente alla procedura, a condizione tuttavia che la loro posizione sul mercato sia sostanzialmente pregiudicata dal provvedimento di aiuto. Nelle sentenze successive, l’elemento della partecipazione dell’impresa ricorrente alla procedura ha progressivamente perso rilievo e il giudice comunitario si è essenzialmente concentrato sull’esame dell’impatto economico della misura sul mercato, riconoscendo nel pregiudizio alla posizione concorrenziale del ricorrente il criterio cardine in base al quale valutare la ricevibilità del ricorso. Nelle sentenze Matra e Cook , muovendo dalla constatazione della diversità degli obiettivi che, nel quadro della procedura di controllo degli aiuti di Stato, caratterizzano l’esame preliminare di cui all’art. 88, n. 3, CE e il procedimento di indagine formale ex art. 88, n. 2, CE, la Corte gettava le basi per una differenziazione delle condizioni di ricevibilità a seconda della fase procedurale al termine della quale è adottata la decisione oggetto del ricorso. Senza citare la sentenza Cofaz ma muovendosi sostanzialmente nella stessa linea di ragionamento, la Corte rilevava in tali pronunce che, dinanzi a una decisione della Commissione di non aprire la procedura di cui all’art. 88, n. 2, CE, i beneficiari delle garanzie procedurali previste da tale disposizione avrebbero potuto ottenerne il rispetto solo qualora si fossero visti riconoscere la possibilità di contestare tale decisione dinanzi al giudice comunitario. In entrambe le sentenze la Corte concludeva quindi nel senso della ricevibilità dei ricorsi in quanto introdotti da soggetti cui doveva essere riconosciuta la qualità di interessati in base all’art. 88, n. 2, CE.
Con la sentenza Commissione/Aktionsgemeinschaft Recht und Eigentum (ARE) la Corte ha confermato e precisato detta giurisprudenza. Ai punti 34 37 la Corte ha sintetizzato le condizioni di ricevibilità che presiedono all’introduzione di un ricorso contro una decisione adottata senza aprire il procedimento di cui all’art. 88, n. 2, CE. Queste ultime variano a seconda dell’obiettivo perseguito dall’autore del ricorso. Qualora tale obiettivo consista nella tutela dei diritti procedurali che il ricorrente trae dall’art. 88, n. 2, CE e miri in sostanza a ottenere l’apertura del procedimento di indagine formale da parte della Commissione, il ricorso è dichiarato ricevibile alla sola condizione che il ricorrente dimostri di godere della qualità di interessato ai sensi della suddetta disposizione. Ove invece l’autore del ricorso metta in discussione «la fondatezza della decisione di valutazione dell’aiuto in quanto tale», il semplice possesso di detta qualità non basta e il ricorrente deve dimostrare di soddisfare le condizioni di ricevibilità più restrittive imposte dalla giurisprudenza Plaumann, ad esempio apportando la prova del pregiudizio sostanziale che l’applicazione del provvedimento oggetto della decisione impugnata arrecherebbe alla sua posizione sul mercato. In sintesi, in base alla giurisprudenza sopra ricordata, le condizioni di ricevibilità dei ricorsi contro le decisioni della Commissione in materia di aiuti differiscono a seconda dello stadio procedurale nel quale sono adottate e dell’obiettivo perseguito dall’autore del ricorso e la differenza consiste essenzialmente nella diversa intensità della lesione dei propri interessi che quest’ultimo è tenuto a dimostrare. D’altra parte, sono noti i casi di giurisprudenza in cui l’interesse diretto di un soggetto è stato riconosciuto anche in presenza di un certo potere discrezionale degli organismi competenti per l’attuazione dell’atto giuridico dell’Unione, purché si potesse ritenere sufficientemente probabile che tale discrezionalità sarebbe stata esercitata in un determinato modo .

6. Le decisioni della Commissione volte ad autorizzare o vietare un regime nazionale di aiuti di Stato hanno portata generale e pari portata deve essere riconosciuta anche alle decisioni che escludono il recupero di aiuti concessi. Tale portata risulta dal fatto che simili decisioni si applicano a situazioni determinate obiettivamente e producono effetti giuridici nei confronti di una categoria di persone considerate in maniera generale e astratta. Secondo una costante giurisprudenza, i soggetti diversi dai destinatari di una decisione possono sostenere che essa li riguarda individualmente solo se detta decisione li concerne a causa di determinate qualità loro personali o di una situazione di fatto che li caratterizza rispetto a chiunque altro e, quindi, li distingue in modo analogo ai destinatari (v., in particolare, sentenze 15 luglio 1963, causa 25/62, Plaumann/Commissione, Racc. pag. 197, in particolare pag. 223; 19 maggio 1993, Cook/Commissione, cit., punto 20; 15 giugno 1993, Matra/Commissione, cit., punto 14; 13 dicembre 2005, causa C 78/03 P, Commissione/Aktionsgemeinschaft Recht und Eigentum, Racc. pag. I 10737, punto 33).
Questa giurisprudenza è trasponibile all’art. 263, quarto comma, terza parte di frase, TFUE. Infatti, la questione relativa alla portata generale o meno di un atto riguarda una qualità oggettiva del medesimo, che non può variare a seconda delle diverse parti di frase dell’art. 263, quarto comma, TFUE. Inoltre, una interpretazione secondo la quale un atto potrebbe allo stesso tempo rivestire portata generale nel contesto dell’art. 263, quarto comma, seconda frase, TFUE ed essere privo di tale portata nel contesto dell’articolo 263, quarto comma, terza frase, TFUE contrasterebbe con l’obiettivo perseguito con l’aggiunta dell’ultima disposizione, che è quello di attenuare i requisiti di ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da persone fisiche o giuridiche.
L’ordine di recupero di aiuti di Stato illegittimamente concessi riguarda individualmente i beneficiari del regime di aiuto in questione, poiché essi, dal momento della adozione di un simile ordine sono sottoposti al rischio che i vantaggi percepiti siano recuperati e appartengono, quindi, ad una cerchia ristretta di legittimati alla impugnazione della decisione . Ma tanto non esclude che la parte della decisione che dispone la non recuperabilità dell’aiuto illegittimo non rivesta parimenti carattere di “atto regolamentare”, in quanto mantiene il vulnus alla concorrenza che è stata la giustificazione della dichiarazione di illegittimità della misura di aiuto.

7. I soggetti legittimati alla impugnazione della decisione di esonero dall’obbligo di recupero degli aiuti di Stato illegittimi sono coloro che la misura poneva in una situazione concorrenziale di svantaggio. L’incidenza diretta di una tale decisione nei confronti di un “non” beneficiario della misura non può essere dedotta dalla mera possibilità di un rapporto di concorrenza tra i due soggetti. È necessario che il soggetto inciso provi non tanto di operare nel medesimo generico mercato di servizi di riferimento del beneficiario della esenzione, quanto di operare nella porzione di mercato nel quale i due soggetti concretamente operano.
Nel caso di specie, tale concreta porzione del mercato del servizio di istruzione è stato riferito alla circostanza che le rispettive scuole dei ricorrenti erano situate nelle immediate vicinanze di enti ecclesiastici o religiosi che esercitavano attività simili alle loro. Dal momento che tali enti laici potevano, a priori, essere ammessi a beneficiare delle misure nazionali esaminate dalla decisione controversa, si è ritenuto che la decisione di esonero li abbia posti in una situazione concorrenziale svantaggiosa e che, di conseguenza, detta decisione incideva direttamente sulla loro situazione giuridica, in particolare sul loro diritto a non subire su tale posizione di mercato una concorrenza falsata dalle misure in questione.

Avv. Maurizio Fiorilli

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