Trib. Velletri, 17 settembre 2018, n. 1962

GIURISDIZIONE E COMPENTENZA – AZIONE DI RESPONSABILITA’ NEI CONFRONTI DEL PUBBLICO DIPENDENTE PER LESIONE DI UN INTERESSE LEGITTIMO – GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO (art. 102 Cost.; artt. 1 e 37 c.p.c.).

RESPONSABILITA’ PERSONALE DEL PUBBLICO DIPENDENTE PER LESIONE DI UN INTERESSE LEGITTIMO COMMESSA NELL’ESERCIZIO DELLE PROPRIE FUNZIONI – SUSSISTENZA (art. 28 Cost.; artt. 22 e 23, d.p.r. 10 gennaio 1057, n. 3; art. 2043 c.c.).

RESPONSABILITA’ DEL PUBBLICO DIPENDENTE PER LESIONE DI UN INTERESSE LEGITTIMO – NATURA – AZIONE DI RESPONSABILITA’ – PROPONIBILITA’ – CONDIZIONI (art. 28 Cost.; artt. 22 e 23, d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3; art. 1292 ss. c.c.; art. 30 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104).

Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la domanda di risarcimento danni avanzata nei confronti di un pubblico dipendente per la lesione di un interesse legittimo (1).

Il pubblico dipendente è personalmente responsabile per la lesione di un interesse legittimo commessa nell’esercizio delle proprie funzioni (2).

La responsabilità del pubblico dipendente per lesione di un interesse legittimo ha carattere autonomo e può essere fatta valere anche in mancanza di previo esercizio della medesima azione nei confronti della Amministrazione di appartenenza (3). 

(OMISSIS)

1. Sull’inammissibilità e/o improponibilità della domanda.
Abbandonata la questione relativa al difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in conformità del resto ai principi fissati dalle S.U. con ord. 11932 del 17.5.10, secondo cui l’art. 103 Cost. non consente di ritenere che il giudice amministrativo possa conoscere di controversie in cui non sia parte una PA o un soggetto ad essa equiparato (sicché la pretesa risarcitoria avanzata nei confronti del funzionario di un Comune, nel caso di specie quale responsabile del procedimento urbanistico di approvazione di una convenzione di lottizzazione, poi dichiarata illegittima, va proposta dinanzi al giudice ordinario) parte convenuta ha eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità della domanda risarcitoria, in quanto nessuna norma di legge prevedrebbe la responsabilità personale del pubblico dipendente per la lesione di un interesse legittimo qual è quello leso nella vicenda in esame; né sarebbero applicabili a carico del dipendente pubblico i principi elaborati in via giurisprudenziale con riguardo alla responsabilità della Pubblica Amministrazione per la lesione di tali interessi.
Tale eccezione non è accoglibile.
Ciò non perché si ritenga che l’ […] attrice vantasse un (vero e proprio) diritto soggettivo, come dalla stessa sostenuto. Anzi, pur propendendosi per la qualificazione della relativa posizione soggettiva in termini d’interesse legittimo – considerato che il regime italiano, in conformità dei principi di diritto europeo, prevede che l’assegnazione su base individuale dei diritti di uso delle frequenze per le reti televisive digitali – giustificata in nome del superiore interesse pubblico di ottenere un uso efficiente delle stesse – avvenga mediante procedure di tipo concorsuale che garantiscano il rispetto dei principi di proporzionalità, trasparenza e non discriminazione (CdS, III sez., 3.2.16 n. 437; Corte di Giustizia IV, n. 380 del 31.1.08; TAR Roma, III, n. 13 del 3.1.18) si ritiene di poter prescindere da tale problematica classificatoria, aderendo all’orientamento consolidato ribadito da ultimo da Cass. sez. 3, n. 16276 del 31.7.15, secondo cui il pubblico impiegato che nell’esercizio delle proprie funzioni abbia adottato o concorso alla formazione di atti amministrativi lesivi di interessi legittimi, ne risponde nei confronti del terzo danneggiato dal provvedimento, non ostandovi il disposto dell’art. 23 del d.p.r. n. 3 del 10 gennaio ’57, che alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, non esclude la responsabilità del pubblico dipendente per lesione d’interessi legittimi ovvero più genericamente per lesione di situazioni d’interesse protetto, sempre che i pubblici funzionari abbiano agito con dolo o colpa grave.
In motivazione, la Suprema Corte ha ricordato che il “danno ingiusto” di cui all’art. 2043 c.c. può consistere tanto nella lesione d’un diritto soggettivo assoluto, quanto nella lesione d’un diritto soggettivo relativo; quanto, infine, nella lesione d’un interesse legittimo come pure d’ogni altra situazione giuridica soggettiva “presa in considerazione dall’ordinamento” (così la fondamentale decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 500 del 22/07/1999, Rv. 530553). Vero è che la lesione d’un interesse legittimo non può derivare che da una condotta della pubblica amministrazione, giacché solo a fronte dei poteri autoritativi di cui questa è titolare può concepirsi quella situazione giuridica soggettiva; ma è altresì vero che in tema di responsabilità aquiliana vige la regola dell’equivalenza delle condotte di cui all’art. 2055 c.c.: pertanto, se la p.a. con un proprio provvedimento viola un interesse legittimo, a provocare tale danno concorre anche il funzionario che quel provvedimento adotta ovvero non ostacola. A queste conclusioni non osta il disposto del D.P.R. 3 del 1957, art. 23, cit. (il quale stabilisce che “è danno ingiusto, agli effetti previsti dall’art. 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave”). Questa norma, infatti, fu promulgata in un’epoca in cui non si dubitava della irrisarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo (ex multis, Sez. U, Sentenza n. 1950 del 25/06/1953, Rv. 880278). Oggi il quadro normativo e giurisprudenziale è radicalmente mutato. È mutato il quadro normativo, perché la risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi è espressamente prevista dalla legge (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 7, comma 4). È mutato il quadro giurisprudenziale, perché sin dal 1999 le Sezioni Unite di questa Corte hanno ammesso la risarcibilità del danno da lesione d’interessi legittimi (Cass. 500/99, cit). Il mutato quadro normativo e giurisprudenziale, che accorda a chiunque il diritto ad ottenere il risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, impone una lettura aggiornata e costituzionalmente orientata del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23, in virtù della quale l’espressione “violazione dei diritti dei terzi” deve intendersi quale sinonimo di “violazione degli interessi protetti dei terzi”. Qualsiasi diversa interpretazione, infatti, creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra chi ha visto vulnerare dall’amministrazione un proprio diritto, e chi ha visto vulnerare un proprio interesse: al primo, infatti, sarebbe accordata sia l’azione contro l’impiegato, sia l’azione contro la p.a.; al secondo invece sarebbe concessa solo l’azione nei confronti della p.a.. E questo esito interpretativo si porrebbe in palese contrasto con l’art. 24 Cost., a norma del quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (cfr. anche Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17914 del 25/11/2003; Sez. U, Sentenza n. 5123 del 26/05/1994). Queste ultime decisioni, oltre che le modifiche normative sopra ricordate, devono quindi fare ritenere abbandonato il diverso e più remoto orientamento espresso da Sez. U, Sentenza n. 3357 del 18/03/1992, secondo cui la condotta del pubblico impiegato lesiva d’un interesse legittimo “non possa costituire causa di danno risarcibile” ai sensi del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23. In quella decisione, infatti, l’inammissibilità della domanda venne fondata unicamente sull’assunto che “la violazione dell’interesse legittimo non costituisce un danno risarcibile”: sicché, venuto questo meno quest’ultimo principio, è caduta di conseguenza anche l’interpretazione restrittiva del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23, fatta propria dalla sentenza impugnata.
Parte convenuta ha in subordine dedotto che la responsabilità del pubblico dipendente sarebbe da considerare accessoria e sussidiaria rispetto a quella (principale) della Pubblica Amministrazione, per cui l’azione risarcitoria nei confronti del primo non sarebbe esperibile senza aver preventivamente accertato quella dell’Amministrazione dinanzi al competente giudice amministrativo. Ha quindi precisato che, posto che tale accertamento è nel caso di specie ormai precluso, essendo decorso il termine di decadenza di 120 giorni, decorrente dal giorno in cui il fatto dannoso si è verificato, da quello del provvedimento lesivo o dal momento in cui è cessato l’inadempimento all’obbligo di concludere il procedimento ed, in ogni caso, dopo il decorso di un anno dal termine di conclusione del procedimento – fissato dall’art. 30 del c.p.a. come limite alla possibilità di proporre un’azione risarcitoria autonoma, senza previa impugnazione dell’atto amministrativo illegittimo – anche l’azione risarcitoria nei confronti del pubblico dipendente sarebbe improponibile.
Il ragionamento spiegato non può essere condiviso, a partire dalla premessa che postula la responsabilità del pubblico dipendente come accessoria e sussidiaria rispetto a quella della P.A. Tale assunto si pone, invero, in contrasto con il dettato normativo di cui all’art. 28 Cost, che sancisce il principio di responsabilità diretta del funzionario, dipendente, e di cui agli artt. 22 e 23 d.p.r. n.3 del 1957, secondo cui l’impiegato che nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite… cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell’art. 23, per tale intendendosi quello derivante da violazioni di diritti (o interessi legittimi) commessi per dolo o colpa grave, è obbligato a risarcirlo e l’azione nei suoi confronti può (ma non già deve) essere esercitata congiuntamente con l’azione diretta nei confronti dell’amministrazione, qualora… sussista anche la responsabilità dello Stato. Dalla lettera di tali disposizioni non si desume affatto che la responsabilità del pubblico dipendente sia inquadrabile tra le garanzie ex lege, assimilabili alla fideiussione (principio affermato da Cass. sez. 1, sent. n. 12508 del 17.6.15, in relazione al tema affatto diverso della responsabilità personale e solidale di chi abbia agito in nome e per conto di un’associazione non riconosciuta) valendo semmai il ragionamento contrario, dal momento che è prevista la possibilità per l’amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente di rivalersi agendo contro quest’ultimo a norma degli artt. 18 e 19.

(OMISSIS)


(1) La sentenza merita di essere certamente condivisa nella parte in cui afferma che la domanda risarcitoria proposta nei confronti del pubblico dipendente per responsabilità in cui sia incorso nell’esercizio del proprio ufficio, ancorché connessa ad analoga domanda proposta o da proporre nei confronti della Amministrazione di appartenenza, si sottrae alla giurisdizione del giudice amministrativo e rientra in quella del giudice ordinario.
Secondo consolidata giurisprudenza, invero, l’art. 103 Cost. attribuisce alla giurisdizione del giudice amministrativo le sole controversie proposte nei confronti di una Pubblica Amministrazione o di un soggetto ad essa equiparato ed impedisce di attrarre in essa le controversie che intercorrono esclusivamente tra soggetti privati (cfr. Cass., SS.UU., 15 novembre 2016, n. 23228; Cass., SS.UU., 21 giugno 2016, n. 19677 Cass., SS.UU., 8 marzo 2011, n. 5408; Cass., SS.UU., 17 maggio 2010, n. 11932; Cass., SS.UU., 5 marzo 2008, n. 5914; Cass., SS.UU., 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660; Cass., SS.UU., 15 giugno 2006, n. 13911; Cass., SS.UU., 2 marzo 2006, n. 4591; Cass., SS.UU., 10 marzo 1999, n. 113; Cass., SS.UU., 9 gennaio 1997, n. 93; Cass., SS.UU., 26 maggio 1994, n. 5123; Cass., SS.UU., 9 novembre 1989, n. 4708).
La scissione dell’azione di responsabilità proposta nei confronti del pubblico dipendente da quella nei confronti dell’Amministrazione propone tuttavia complessi problemi di coordinamento, di cui si darà brevemente conto al successivo punto (3).
(2) La sentenza aderisce all’orientamento, già espresso dalla Corte di Cassazione con la richiamata sentenza del 31 luglio 2015, n. 16276, secondo cui la responsabilità del pubblico dipendente disciplinata dall’art. 23 del t.u. n. 3 del 1957 si estende al caso in cui la propria condotta abbia determinato la lesione di un interesse legittimo. Questo orientamento costituisce un corollario della “storica” sentenza delle Sezioni Unite della S. Corte del 22 luglio 1999, n. 500, che ha ricompreso la lesione degli interessi legittimi nell’ambito della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, ex art. 2043 c.c.
Questo indirizzo non sembra immune da critica. Nella legislazione ordinaria non si rinviene nessuna disposizione che consenta di configurare in simili fattispecie la responsabilità personale del funzionario pubblico; né sembra che il principio della responsabilità della Pubblica Amministrazione per lesione degli interessi legittimi, enunciato per la prima volta dalla citata sentenza n. 500/99 dalle SS.UU. della Cassazione ed oggi disciplinato dagli artt. 7 e 30 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, recante il codice del processo amministrativo, possa comportare anche l’ampiamento della responsabilità personale del pubblico dipendente per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni.
A tal fine non sarebbe corretto fare riferimento alla regola generale contenuta nell’art. 2043 c.c. che – secondo la tendenza evolutiva espressa dalle SS.UU. della S. Corte – consente di ricomprendere nella nozione di “danno ingiusto” il pregiudizio arrecato a qualunque posizione giuridica soggettiva (sia di “diritto” che di “interesse legittimo”) vantata dal privato. Nel caso di specie la norma generale è derogata da quella speciale contenuta negli artt. 22 e 23 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, che – dando attuazione alle previsioni del citato art. 28 Cost. – qualificano come «ingiusto» il solo danno derivante da «violazione dei diritti dei terzi… commessa per dolo o per colpa grave», e nulla dice a proposito della lesione degli interessi legittimi.L’operazione ermeneutica compiuta dalle SS.UU. della Cassazione con la sentenza n. 500 del 1999 allo scopo di allargare le sfere di responsabilità della p.A. ai sensi dell’art. 2043 c.c. non può essere dunque replicata con riferimento alla responsabilità personale del pubblico dipendente: lo impedisce il diverso tenore letterale della norma speciale, che inequivocabilmente restringe la nozione di “danno ingiusto” e l’ambito della fattispecie rilevante.
Con riguardo alla responsabilità personale del dipendente pubblico l’interpretazione estensiva è impedita inoltre da rilevanti motivi di ordine logico. In questo caso per un verso non ricorre la ragione ispiratrice della citata sentenza n. 500 del 1999, che era quella di offrire tutela risarcitoria a situazioni giuridiche che ne erano prive; e ciò per l’evidente ragione che la tutela risarcitoria è ormai assicurata dalla responsabilità della p.A., secondo i principi affermati da quella sentenza ed ora recepiti nel c.p.a.. Per altro verso occorre considerare che gli artt. 22 e 23 del t.u. n. 3 del 1957 si propongono di delimitare l’ambito di estensione della responsabilità personale del pubblico dipendente in base ad un bilanciamento di interessi affidato alla discrezionalità del legislatore.
La volontà del legislatore di restringere i confini della responsabilità del pubblico dipendente rispetto all’ambito della comune responsabilità civile definito dall’art. 2043 c.c. è del tutto evidente con riguardo all’elemento soggettivo della colpa (che secondo la regola comune si estende fino alla “colpa lievissima” e secondo la norma speciale è limitata ai casi di dolo e colpa grave). Analoga limitazione si può logicamente configurare, in piena conformità con il dato letterale, con riguardo all’elemento oggettivo dell’illecito.
In verità, il legislatore ha inteso bilanciare la tutela del privato danneggiato con la salvaguardia della autonomia e della libertà decisionale del pubblico dipendente, che potrebbero essere gravemente pregiudicati nel caso di una eccessiva esposizione a responsabilità personale per le scelte compiute nell’esercizio delle proprie funzioni. In tal modo, mentre ha previsto la sua responsabilità diretta per il compimento di atti vietati e l’omissione di atti dovuti immediatamente lesivi degli altrui diritti, ha evitato di esporlo a possibili azioni risarcitorie da parte dei privati interessati per l’attività svolta all’interno dell’apparato amministrativo a favore dell’Amministrazione, alla quale la propria azione è immediatamente ed interamente riferibile in base all’esistente nesso organico e secondo i principi che regolano la personalità giuridica degli Enti, che costituiscono soggetti distinti ed autonomi rispetto alle persone fisiche che operano al proprio interno.
Alle stesse conclusioni conduce, con specifico riferimento alla responsabilità da ritardo, l’art. 133, comma 1, lett. a), n. 1), del d.lgs. n. 104 del 2010. Dispone infatti tale norma che sono rimesse alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: «Le controversie in materia di […] risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo». La circostanza che la materia appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e che il pubblico dipendente non può essere convenuto dinanzi a tale giudice comporta, come logica conseguenza, che tale azione può essere proposta esclusivamente nei confronti della pubblica Amministrazione ed è invece preclusa nei confronti del pubblico dipendente in proprio. Non si può infatti ovviare alla carenza di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della domanda risarcitoria nei confronti del pubblico dipendente proponendo la stessa domanda dinanzi al giudice ordinario, che non ha comunque potestà a pronunciarsi nella materia per il disposto del predetto art. 133, comma 1, lett. a), n. 1), del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104.
Da tutto ciò consegue, in definitiva, che l’azione proposta nei confronti del pubblico dipendente per lesione di un interesse legittimo, specie se riferita alla speciale ipotesi di danno da ritardo, deve essere ritenuta improponibile, perché non trova sostegno in nessuna disposizione vigente ed è anzi esclusa dalle norme sopra richiamate. Tutto ciò è dimostrato dalla incontroversa prassi delle pubbliche Amministrazioni: non risulta infatti nessun caso in cui esse abbiano mai preteso di rivalersi nei confronti del proprio dipendente (come sarebbe dovuto accadere, qualora fosse ritenuto corresponsabile) negli innumerevoli in cui è stata condannata per il risarcimento dei danni prodotti dalla lesione di interessi legittimi.
(3) Il Tribunale ritiene inoltre non solo che il pubblico funzionario possa rispondere personalmente per il caso di lesione di interesse legittimo, ma anche che l’azione nei suoi confronti possa essere proposta (dinanzi al giudice ordinario giurisdizionalmente competente) indipendentemente dalla proposizione di analoga azione nei confronti della Amministrazione di appartenenza entro i termini di decadenza stabiliti dall’art. 30 del d.lgs. n. 104 del 2010. A giustificazione di questa tesi sostiene che la responsabilità del pubblico dipendente avrebbe carattere principale ed autonomo e non sarebbe perciò sussidiaria rispetto a quella dell’Amministrazione.
Anche questa statuizione si espone a considerazioni critiche.
Giova premettere, a tal riguardo, che la responsabilità del pubblico dipendente, per lesione di interessi legittimi, ove mai configurabile, dovrebbe ritenersi comunque accessoria e sussidiaria rispetto a quella della Pubblica Amministrazione. Infatti, solo ad essa Amministrazione compete la potestà pubblicistica di adottare provvedimenti autoritativi e solo ad essa si può dunque imputare in via principale e diretta qualunque condotta adottata in violazione di una “norma di azione” con lesione di una posizione di interesse legittimo del privato. Il dipendente pubblico, non essendo dotato di alcuna autorità, non può considerarsi autore di un provvedimento lesivo (o di un’omissione o di un ritardo nell’adozione del provvedimento), né può ritenersi capace di ledere un interesse legittimo del privato. Si può ritenere, tutt’al più, che la sua responsabilità personale si aggiunga a quella dell’Amministrazione nel caso di violazione dei suoi obblighi di diligenza nel compimento delle proprie funzioni.
Ciò premesso, si osserva che, se proposta nei confronti della p.A. dinanzi al giudice amministrativo giurisdizionalmente competente, l’azione di responsabilità per lesione di interessi legittimi (e, più in particolare, per danni da ritardo) è soggetta a precise limitazioni. Originariamente queste condizioni erano particolarmente restrittive. Il Consiglio di Stato ha infatti tradizionalmente affermato che «Il risarcimento dei danni per il ritardo dell’amministrazione nell’adozione di un provvedimento dovuto può essere richiesto esclusivamente nelle ipotesi in cui sia stato previamente accertato e dichiarato, dal Giudice, il silenzio inadempimento dell’amministrazione» (Cons. Stato, 26 luglio 2017, n. 3696, che richiama le precedenti sentenze n. 2040 del 2015 e n. 3295 del 2014).
Questo tradizionale indirizzo sembra ormai superato dalla disciplina introdotta dall’art. 30 del c.p.a., che ammette la possibilità di proporre un’azione risarcitoria autonoma, senza previa impugnazione dell’atto amministrativo illegittimo. Ma se pure si ritenesse ormai superata la regola della previa impugnazione dell’atto lesivo illegittimo (cd. “pregiudiziale amministrativa”), la proposizione di tale azione rimane soggetta a precisi termini di decadenza. Infatti, Il terzo, il quarto ed il quinto comma del citato art. 30 c.p.a. stabiliscono che essa, qualora non sia proposta nell’ambito di un giudizio di annullamento o entro 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che accerti l’illegittimità dell’atto, deve essere attivata entro il termine di 120 giorni decorrente dal giorno in cui il fatto dannoso si è verificato, da quello del provvedimento lesivo o dal momento in cui cessa l’inadempimento all’obbligo di concludere il procedimento (ed, in ogni caso, dopo il decorso di un anno dal termine di conclusione del procedimento).
Qualora questi termini non siano stati rispettati, occorre escludere la possibilità residuale di proporre la stessa azione nei confronti del giudice ordinario nei personali confronti del pubblico dipendente e senza limitazioni temporali (salvi quelli derivanti dalla intervenuta prescrizione decennale). Infatti, la decadenza nei confronti dell’obbligato principale comporta la liberazione di colui che riveste una responsabilità solidale di carattere accessorio, secondo principi costantemente espressi dalla giurisprudenza di legittimità mediante l’applicazione estensiva dell’art. 1957 c.c..
La tesi contraria si pone in contrasto con evidenti principi logici e giuridici. Non è infatti verosimile che il silenzio del legislatore possa significare che si possa illimitatamente proporre nei confronti del pubblico dipendente e dinanzi al giudice ordinario (che non è competente a conoscere degli interessi legittimi) quella stessa azione che, se proposta nei confronti dell’Amministrazione nella qualità di obbligata principale, è riservata alla giurisdizione del giudice amministrativo ed è assoggettata a precise formalità e termini.
Per tutte queste ragioni l’azione di responsabilità nei confronti del pubblico dipendente per lesione di interessi legittimi dovrebbe essere dichiarata inammissibile, nel caso di mancato esperimento della pregiudiziale azione di annullamento o di condanna nei confronti dell’Amministrazione nelle forme e nei termini previsti dal codice del processo amministrativo.