COMPRAVENDITA DI IMMOBILE IN UN COMPLESSO TURISTICO: DIRITTI PROPRIETARI E VINCOLI DI DESTINAZIONE

  1. Il “diritto del turismo” quale nuovo ramo dell’ordinamento giuridico

Le trasformazioni sociali ed i ritmi della vita moderna fanno sorgere corrispondenti esigenze della persona al tempo libero ed allo svago. Queste esigenze si traducono nella formazione di veri e propri diritti soggettivi, a cui l’art. 1, comma 2, della l. l. 29 marzo 2001, n. 135, ha attribuito un “ruolo strategico [..], per la crescita culturale e sociale della persona e della collettività […]” [1]. La rilevanza del fenomeno e la pluralità dei suoi profili ha ormai generato la formazione di una apposita disciplina giuridica dedicata al turismo.

Taluni settori della materia, come quello relativo all’esercizio dell’ attività alberghiera ed alla disciplina degli immobili ad essa dedicati, costituiscono oggetto da lungo tempo di una specifica normativa [2], che si è poi progressivamente estesa alla disciplina di numerose altre forme di strutture ed attività ricettive che sono sorte in tempi più o meno recenti, a seguito dello sviluppo dei trasporti e della mobilità, della diversificazione dell’offerta turistica e dell’ampliamento delle fasce della popolazione coinvolte dal fenomeno [3].

Si è poi sviluppata un’ampia normativa, dedicata alla disciplina delle professioni di agente turistico e di tour operator. La giurisprudenza ha elaborato altresì una specifica tipologia di contratti, stipulati (secondo una locuzione di uso frequente) per “motivi di piacere” e caratterizzati da una particolare causa negoziale.

L’evoluzione dei mercati e lo sviluppo delle più svariate attività economiche correlate al turismo ha originato nuove problematiche, correlate alla tutela del turista in qualità di consumatore, ed ha reso necessario lo sviluppo di una specifica disciplina di tutela a ciò destinata. In questa prospettiva, è stata emanata la direttiva (UE) 2015/2302 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015, che si propone lo scopo di contribuire al conseguimento di un livello elevato ed uniforme di protezione in materia di contratti tra viaggiatori e professionisti relativi a pacchetti turistici e servizi turistici collegati, e perciò all’insieme dei servizi normalmente collegati ad un viaggio per motivi turistici (trasporto, soggiorno, ristorazione, visite ed escursioni, svago) [4]. La direttiva 2008/122/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 gennaio 2009, si occupa invece dei contratti di commercializzazione, vendita e rivendita di multiproprietà e di prodotti per le vacanze di lungo termine, nonché dello scambio dei diritti derivanti dai contratti di multiproprietà, allo scopo di garantire un elevato livello di tutela del turista-consumatore [5].

L’ampia legislazione che si è formata nel settore ha costituito oggetto di una altrettanto ampia produzione giurisprudenziale, che ha interessato soprattutto la tutela del turista che abbia acquistato da un tour operator un pacchetto turistico per un viaggio di breve durata. In tale ambito, la giurisprudenza si è interessata anche dei soggiorni in “villaggi turistici” (che l’art. 13 del d.lgs. n. 79/2011, classifica tra le “strutture ricettive all’aperto” e qualifica come strutture “aperte al pubblico, a gestione unitaria […]”), onde evidenziare il diritto dell’ospite di fruire in modo integrato di tutti i servizi da esso offerti (tra cui, in particolare, l’accesso alla spiaggia ed al mare) [6].

  1. Le tutele giuridiche inerenti alla realizzazione ed alla gestione di un “complesso turistico multi-funzionale

Nella legislazione vigente non si rinviene invece una disciplina specifica riguardante la costruzione e la gestione di un “complesso turistico multi-funzionale”, per tale intendendosi un comprensorio che sia costruito su iniziativa privata – in conformità con un progetto regolarmente approvato dalla pubblica amministrazione nel rispetto di apposite previsioni urbanistiche contenute nel vigente piano regolatore e delle obbligazioni assunte con una correlata convenzione attuativa – che sia costituito in parte da immobili di vario genere in proprietà individuale, adibite a soggiorni temporanei per vacanze (residenze turistiche, appartamenti per vacanze, ville, residenze turistiche, alberghi), e per un altro verso da strutture di servizio destinate allo sport ed alla fruizione del tempo libero (negozi, bar, ristoranti, impianti sportivi, centri benessere, stabilimento balneare, darsena con posti barca, etc…). Si tratta di un modello assai diffuso, che si è sviluppato nel recente passato attraverso l’incrocio tra l’iniziativa privata ed il potere di governo del territorio degli enti locali e che origina molteplici rapporti civilistici tra costruttori del comprensorio, gestori delle strutture adibite ai servizi ed acquirenti degli immobili ad uso vacanze ivi realizzati.

Il principale problema che normalmente si presenta in strutture turistiche di tale genere, deriva dalle modalità di gestione delle strutture di servizio, destinate ad offrire le necessarie condizioni di benessere ai proprietari delle unità immobiliari che vi risiedano nei periodi di vacanza, consentendo loro di soddisfare gli scopi del loro acquisto. Appare infatti evidente che le unità immobiliari abitative ubicate nel complesso turistico multi-funzionale perderebbero le loro qualità, e non sarebbero in grado di assolvere alla loro funzione di consentire la fruizione di un piacevole periodo di riposo e di svago, se fossero private dell’accesso ai servizi che dovrebbero essere forniti dagli impianti previsti dal progetto, o se l’accesso a tali servizi fosse consentito a condizioni significativamente più gravose rispetto a quelle promesse al momento dell’acquisto.

In tali circostanze si tratta di valutare quali forme di tutela siano consentite ai soggetti che abbiano acquistato dal proponente/costruttore del complesso multi-funzionale le unità abitative a destinazione turistica in esso ubicate. Occorre valutare, in particolare, se si possa configurare un diritto/dovere di conservare nel tempo, mediante una gestione coordinata, l’unità funzionale del complesso turistico ed il nesso di reciproca connessione tra le strutture che lo compongono, così da poter continuare a fruire dei servizi da esse erogati nelle forme ed alle condizioni previste nell’atto di acquisto ed in coerenza con le previsioni del progetto originariamente redatto ed approvato dalla competente autorità amministrativa; sul versante opposto, si tratta di stabilire se la libertà di iniziativa economica possa consentire ai proprietari e/o ai gestori delle strutture turistiche di perseguire senza alcun vincolo le proprie strategie di impresa, prescindendo dai legami originari con gli altri immobili inclusi nel comprensorio.

Ovviamente, in mancanza di precise disposizioni legislative riferite alla fattispecie, non è possibile fornire una soluzione univoca a questo problema; le risposte possono dipendere da molteplici fattori, desumibili dai provvedimenti regolatori e concessori dell’autorità amministrativa e dalle clausole contrattuali contenute nei contratti stipulati dalle parti, da valutare caso per caso in relazione alla fattispecie concreta.

La specialità della materia e la complessità dei temi in discussione inducono tuttavia a ricostruire un quadro normativo di riferimento, che possa meglio orientare l’indagine e fornire gli strumenti metodologici per pervenire alla più corretta analisi delle questioni prospettate. A tal fine, giova adottare un approccio multi-disciplinare, procedendo ad un esame organico e sistematico dei seguenti profili: a) la disciplina urbanistica e gli obblighi di carattere pubblicistico che ne derivano; b) le norme di settore dettate per fattispecie analoghe; c) i principi civilistici, con distinto riferimento agli effetti reali ed obbligatori che derivano dai contratti stipulati per la compravendita degli immobili ubicati nel complesso turistico; d) i principi generali in materia di tutela del consumatore (quale deve ritenersi il soggetto che acquisti un immobile ubicato nel comprensorio turistico dal costruttore/proponente).

  1. Sulla nozione di comprensorio turistico, quale insieme di strutture integrate per la soddisfazione delle esigenze di benessere psico-fisico della persona. I vincoli conformativi secondo la disciplina urbanistica

Sotto il primo profilo, si osserva che la costruzione di un complesso residenziale a destinazione turistica richiede necessariamente il preventivo svolgimento di una complessa attività amministrativa di natura urbanistica. Invero, la giurisprudenza consolidata (cfr., per tutte, Cons. Stato, VI, 14 ottobre 2014, n. 5074; 2 dicembre 2011, n. 6373) ha evidenziato che, in sede di pianificazione dell’assetto del territorio urbano, i Comuni individuano, tra l’altro, le zone a vocazione prettamente turistica, che intendono destinare alla realizzazione di attrezzature ricreative, sportive, balneari, nautiche e simili, nel contesto di una valorizzazione dell’ambiente e dei valori naturalistici e paesaggistici, con l’intento di incentivare lo sviluppo di determinati settori economici in forme eco-sostenibili e di favorire il benessere psico-fisico della popolazione.

Lo strumento operativo per perseguire queste finalità è rappresentato dalla redazione del Piano Regolatore Generale Comunale, dettagliato e precisato da quelli particolareggiati (PRPC), che imprime un preciso “vincolo conformativo” alle zone interessate. Esso incide sul corretto assetto del territorio, disciplinando le destinazioni d’uso delle aree, la tipologia degli immobili da realizzare, i generi di attività economiche e commerciali da esercitare, in modo da assicurare il benessere della popolazione residente.

Alla elaborazione delle opportune prescrizioni regolamentari si associa normalmente la stipula di un’apposita convenzione urbanistica, con cui si definiscono le obbligazioni di diritto pubblico che i soggetti privati promotori o attuatori assumono nei confronti sia dell’amministrazione comunale sia dei cittadini residenti, per assicurare che le finalità sottese alla pianificazione siano efficacemente perseguite. La regolamentazione urbanistica origina dunque obblighi di natura pubblicistica nei confronti della pubblica amministrazione, che – a propria volta – avrà l’obbligo di vigilare sul loro corretto adempimento e sul persistente rispetto di tutte le prescrizioni alle quali è subordinato il rilascio del permesso di costruire.

Sotto altro profilo, gli obblighi pubblicistici assunti dal proponente/costruttore in base alle prescrizioni urbanistiche ed alle connesse convenzioni attuative assumono valore vincolante anche nei confronti dei soggetti privati, che intendano avvalersi dei beni realizzati e dei servizi prestati in attuazione del progetto approvato. Da essi deriva la regolazione dei rapporti tra proprietari, operatori turistici e fruitori dei servizi offerti, mediante gli strumenti giuridici che meglio consentano di soddisfare le sottostanti finalità pubblicistiche e gli interessi personali di ciascuno. Le previsioni del PRPC e della connessa convenzione attuativa identificano infatti lo “Statuto” (o lex specialis) del complesso turistico, che regola sia la costruzione, sia la futura gestione del complesso turistico e sarà efficace erga omnes a seguito della loro trascrizione nei registri immobiliari.

La realizzazione e la gestione di un comprensorio turistico possono ispirarsi a diversi modelli strutturali ed operativi, che derivano dagli accordi intercorsi tra soggetto proponente ed amministrazione comunale nell’ambito dell’attività programmatoria e sulla base degli elaborati tecnici ed architettonici sottoposti ad approvazione. Si ritiene tuttavia che il modello progettuale, una volta approvato e tradotto negli opportuni strumenti urbanistici e nella conseguente convenzione attuativa, non possa essere più modificato e debba essere mantenuto costante nel tempo, a garanzia del corretto assetto del territorio e nel rispetto delle aspettative e dei diritti acquisiti dai terzi interessati.

A titolo di esempio, il progetto potrà prevedere la realizzazione di un “villaggio turistico”, conforme alle prescrizioni del citato art. 13 del d.lgs. 79/2011 e dalla legislazione regionale correlata; ed in tal caso il proponente/costruttore si obbliga all’osservanza di tale normativa, che prevedono – come si è accennato – la gestione unitaria delle strutture e la fornitura di servizi locativi e ricreativi agli ospiti per brevi periodi di tempo.

Qualora il progetto preveda invece la costruzione di un complesso turistico poli-funzionale, come quello che forma oggetto della presente indagine, la regolamentazione urbanistica assume una rilevanza ancora maggiore, perché – in assenza di specifiche norme legislative di riferimento – costituisce l’unica fonte normativa (di rango secondario) per disciplinare i rapporti, sia pubblicistici che privatistici, che possono sorgere nei confronti sia dell’amministrazione concedente che dei possibili acquirenti delle unità abitative da realizzare. In questa prospettiva, dunque, le previsioni del PRPC e della connessa convenzione costituiscono il punto fondamentale di riferimento per individuare le relazioni che esistono tra gli immobili di vario genere che compongono il comprensorio turistico (unità abitative da cedere in proprietà da un lato; strutture operative per l’erogazione dei connessi servizi turistici da un altro) e per definire i rapporti giuridici che si potranno instaurare tra proponente/costruttore/gestore degli impianti (e loro aventi causa) da un lato, ed i privati acquirenti delle abitazioni ad uso turistico da realizzare da un altro.

In relazione ad una simile fattispecie e secondo canoni di buona amministrazione, la normativa urbanistica dovrebbe prevedere, inter alia: (i) la costruzione ed il collaudo delle necessarie opere di urbanizzazione primaria e secondaria; (ii)  la realizzazione e la gestione di eventuali servizi a beneficio della popolazione residente; (iii) l’esecuzione delle opportune opere di tutela dell’ambiente naturale; (iv) l’adeguata manutenzione dell’area, così da conservare nel tempo il suo decoro; (v) l’istituzione di opportuni organi per il rispetto delle previsioni e delle finalità progettuali; (vi) l’obbligo dei futuri acquirenti di destinare a scopi turistici le unità abitative da realizzare, in conformità con le previsioni del piano regolatore; (vii) il divieto degli acquirenti di tali unità abitative, per sé ed aventi causa, di mutare la destinazione d’uso degli immobili, se non previo assenso della competente amministrazione.

In particolare, in relazione alla fattispecie in esame appaiono meritevoli di specifica considerazione le prescrizioni riguardanti:

  • l’immodificabilità della destinazione d’uso a fini turistico-ricettivi del complesso turistico in genere e di ciascun suo componente, secondo le previsioni del PRPC e le prescrizioni della convenzione attuativa. Infatti, l’alterazione di questo elemento si porrebbe in contrasto con l’art. 23 ter, comma 1, del dpr 6 giugno 2001, n. 380, che vieta “ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie”, che possa comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle elencate dalla predetta norma;
  • l’unitarietà del complesso turistico ed il rapporto di coordinazione e di reciproco servizio tra gli immobili che lo compongono, destinati a soddisfare gli interessi dei loro fruitori, a condizioni che dovranno essere definite con riferimento a ciascuna fattispecie, tenendo conto dei propri elementi costitutivi. Infatti, qualora si privassero le unità abitative ad uso vacanze o turistico dei beni e/o dei servizi ad uso comune, si rinnegherebbe ipso facto la loro stessa funzionalità identitaria, per l’impossibilità che esse siano fruite utilmente ed effettivamente per la qualificante tipologia di impiego ad esse connaturata fin dalla progettazione e dal momento della costruzione, per la quale “essenzialmente” sono state acquistate. In definitiva, verrebbe meno la stessa destinazione d’uso ad esse impressa ab origine ed ontologicamente intrinseca al bene immobile compravenduto, e con essa la stessa esistenza di un complesso turistico “polifunzionale”, e cioè di quell’ unicum urbanistico a mosaico intessuto da tutte le tessere essenziali e da ciascuna di esse [7].

Per assicurare il perseguimento di questa finalità, la convenzione urbanistica che accompagna l’approvazione del piano regolatore particolareggiato ed il rilascio del permesso di costruire, potrebbe avvalersi di vari strumenti giuridici, e dovrebbe optare per quelli che possano meglio assicurare una gestione unitaria e coordinata del complesso turistico, l’adeguata manutenzione dell’area ed il mantenimento della reciproca coordinazione tra i suoi componenti. Tali strumenti potrebbero essere costituiti, alternativamente o cumulativamente, da un condominio per la gestione dei beni di uso comune; da una cooperativa, cui partecipino tutti i proprietari delle unità abitative, per la gestione comune delle strutture ad uso turistico; da un consorzio obbligatorio, cui debbano partecipare tutti i proprietari degli immobili ubicati nel comprensorio; da altro ente associativo di natura analoga, che favorisca parimenti la conservazione dell’unitarietà del complesso turistico, così come ideato e progettato, favorendo l’adeguata partecipazione di tutti i proprietari.

In estrema sintesi, occorre ritenere che l’approvazione del progetto da parte dell’amministrazione comunale competente e la sua traduzione nelle previsioni del PRPC e nella connessa convenzione attuativa, imprimano precisi vincoli alla costruzione ed alla gestione degli immobili da costruire, che sorgono (e dovrebbero rimanere) come elementi costitutivi del complesso turistico, unitariamente considerato. Inoltre, le relative prescrizioni costituiscono fonte di diritti soggettivi anche per i soggetti privati che acquistino le unità abitative inserite nel complesso turistico poli-funzionale; e da ciò consegue che i predetti obblighi dovrebbero essere recepiti nei futuri contratti di compravendita, o dovrebbero essere considerati comunque elementi integrativi di tali contratti, secondo il disposto dell’art. 1374 c.c.

  1. I riflessi civilistici della disciplina urbanistica. La causa e l’oggetto del contratto di compravendita della casa per vacanze ubicata nel complesso turistico

La disciplina pubblicistica delineata innanzi si riflette sulla natura dei beni che compongono il complesso turistico e, di riflesso, sulla causa e sull’oggetto dei contratti che interessano gli immobili che lo compongono. Invero, questi contratti non possono essere separati dalla disciplina pubblicistica che interessa l’intero comprensorio e definisce la destinazione d’uso dei suoi elementi strutturali, ma costituiscono attuazione del programma espresso dalla regolamentazione urbanistica e dalla relativa convenzione attuativa. Pertanto, essi non tendono a soddisfare esclusivamente gli scopi egoistici delle parti stipulanti, ma rappresentano anche lo strumento per perseguire le finalità di pubblico interesse che si sottendono alle scelte urbanistiche dell’amministrazione e sono insite nelle norme convenzionali. Il mancato rispetto di queste previsioni si traduce nella violazione delle obbligazioni assunte dal proponente, per sé e gli aventi causa, con la stipula della convenzione.

Per queste ragioni, il contratto di compravendita delle unità abitative a proprietà individuale ricomprese nel complesso turistico deve essere considerato come esecuzione degli obblighi convenzionali e contiene in sé i principi che ispirano la regolamentazione urbanistica. Per l’effetto, gli alloggi alienati non possono essere isolati dal complesso turistico in cui si inseriscono e di cui fanno parte integrante, con i conseguenti riflessi sulla causa e sull’oggetto del contratto: l’appartenenza dell’immobile alienato al comprensorio turistico e la possibilità di fruire dei servizi offerti costituiscono elemento costitutivo della vendita pattuita ed individuano una qualità essenziale del bene alienato, con i conseguenti riflessi sulla determinazione dei diritti e degli obblighi delle parti. Nello stesso tempo, il costruttore/alienante, che conserva per sé la proprietà degli immobili destinati alla prestazione dei servizi turistici, non potrà scindere tali beni dal comprensorio a cui appartiene, né potrà sottrarli all’uso comune cui sono destinati, infrangendo così la genetica unità funzionale degli elementi strutturali del progetto e privando le unità abitative individuali dalle utilità promesse.

In verità, la condizione dell’acquirente dell’unità immobiliare ricompresa nel complesso multifunzionale non è sostanzialmente dissimile da quella dell’ospite del villaggio turistico integrato, non essendo dirimenti né gli effetti reali (e non meramente obbligatori) del contratto di acquisto, né la durata permanente (e non temporanea) del rapporto. Pertanto, alla fattispecie in esame si possono estendere, per analogia, i principi giurisprudenziali già elaborati in relazione all’ospitalità nei villaggi turistici.

In questa ottica, possono estendersi ai contratti traslativi della proprietà delle unità abitative, in quanto appartenenti al medesimo genere dei contratti per vacanze, i principi relativi alla causa negoziale, che sono stati già elaborati con riferimento ai soggiorni turistici organizzati dalle agenzie specializzate. Si è affermato a tal riguardo che tali contratti costituiscono un «nuovo tipo contrattuale nel quale la “finalità turistica” (o, con espressione più generale, lo “scopo di piacere”) non è un motivo irrilevante ma si sostanzia nell’interesse che lo stesso è funzionalmente volto a soddisfare, connotandone la causa concreta e determinando, perciò, l’essenzialità di tutte le attività e dei servizi strumentali alla realizzazione del preminente fine del godimento della vacanza per come essa viene proposta dall’organizzatore del viaggio (c.d. tour operator) e accettata dall’utente (si veda in particolare Cassazione civile sezione 3^, n. 16315 del 24 febbraio 2001) [8]. Come sottolinea la predetta sentenza della S. Corte, si è parlato nella letteratura di “commercializzazione della vacanza”, esprimendo in tal modo il rilievo causale che assume il bene immateriale dello svago, definito dall’insieme degli elementi che consentono all’utente di godere di un periodo di riposo e di distensione, orientato su una precisa formula elaborata da colui che la promuove.

Dall’elemento casuale deriva l’estensione dell’oggetto delle prestazioni dedotte in contratto e dei diritti e degli obblighi che ne conseguono. Anche in questo caso si possono estendere all’acquisto in proprietà dell’immobile compreso nel comprensorio turistico, definito dalle norme urbanistiche, i principi già elaborati per i soggiorni in un villaggio turistico attrezzato, in conformità con i principi dettati dal diritto europeo.

Invero, come pure afferma la citata sentenza della Cassazione n. 10651/2008, si è pervenuti a questa ricostruzione della causa contrattuale in considerazione della ratio della disciplina normativa di origine comunitaria (direttiva CEE/90/314, ora sostituita dalla direttiva 2015/2302/UE), che è fortemente improntata dalle finalità di tutelare il diritto del consumatore (nel cui genere rientra anche l’acquirente delle unità abitative incluse nel comprensorio turistico) di fruire effettivamente della vacanza promessa a seguito dell’acquisto di un pacchetto turistico (ovvero, per analogia, dell’acquisto dell’immobile incluso nel complesso polifunzionale, preordinato alla fruizione della vacanza in determinati periodi dell’anno). Da ciò consegue che l’acquirente della casa-vacanze (alla pari dell’acquirente di un pacchetto turistico commercializzato da un tour operator) ha diritto di fruire in tale veste di tutte le utilità tipiche del complesso turistico, perché strettamente inerenti all’immobile acquistato, che il proponente / venditore ha immesso sul mercato. In queste utilità rientrano ad esempio le possibilità di accesso alle attrattive ambientali e naturalistiche che hanno determinato la scelta di concludere il contratto, in guisa che l’impossibilità di accedere ad esse fa venir meno un presupposto essenziale del contratto stesso.

In definitiva, l’impossibilità di fruire dei servizi a cui sono preordinati gli immobili strumentali che compongono il complesso polifunzionale, considerati nella loro inscindibile coordinazione (quali lo stabilimento balneare o il Centro benessere) priva il bene acquistato di una sua qualità intrinseca e lo rende inidoneo all’uso per il quale è stato acquistato. Non può considerarsi infatti “vacanza” un soggiorno presso il villino o l’appartamento acquistato nel complesso turistico, e non si può ritenere che tale bene possieda le qualità promesse, se non si può godere in modo adeguato degli agi che le strutture collegate sono idonee a fornire, anche in relazione agli standard e al pregio del complesso, delle unità abitative e dei relativi comuni servizi che partecipano dell’oggetto della compravendita e qualificano l’immobile compravenduto, come la causa e l’utilità stessa dell’acquisto effettuato.

  1. Gli strumenti civilistici per l’attuazione del programma contrattuale

Per consentire alle parti di perseguire efficacemente le finalità proprie del tipo negoziale, nell’ottica del bilanciamento dei rispettivi interessi ed in conformità con il regolamento urbanistico e con l’effettiva natura della zona, il contratto di compravendita di vendita delle singole unità abitative dovrebbe prevedere una pluralità di diritti ed obblighi accessori di vario genere. Il regolamento contrattuale può essere desunto non solo dalle clausole negoziali espressamente contenute nei contratti di compravendita, ma anche dalle norme regolamentari da essi richiamate, nonché dalla legge, dagli usi e dalle ragioni di equità, che costituiscono elementi integrativi del contratto ai sensi del già richiamato art. 1374 c.c.. Secondo una costante giurisprudenza relativa a fattispecie simili, la determinazione degli strumenti concretamente utilizzabili e dell’esatto contenuto di questi molteplici rapporti, che formano parte essenziale (ancorché accessoria) della vendita immobiliare, non può avvenire “a priori”, ma è rimessa all’autonomia negoziale delle parti e dipende dall’ ermeneutica del contratto, in guisa che deve essere effettuata in modo specifico in relazione a ciascuna situazione concreta; costituisce quindi una quaestio facti, da risolvere in base a tutte le circostanze di fatto e di diritto ricorrenti nel concreto, individuare le forme che nel caso di specie possano più efficacemente consentire il perseguimento della causa del contratto.

Nonostante la molteplicità delle fonti normative e degli strumenti negoziali, tuttavia, rimane fermo che essi dovranno essere idonei a conseguire le finalità tipiche del contratto. Occorrerà quindi assicurare in ogni caso che la disciplina dei rapporti concretamente instaurati consenta di conservare l’unitarietà e la reciproca coordinazione di tutti gli elementi che compongono il comprensorio turistico, in guisa che ai proprietari delle unità abitative sia sempre consentito di soddisfare a condizioni eque le finalità di svago che hanno determinato l’acquisto e che i costruttori/gestori delle strutture di servizio garantiscano la fruizione delle utilità promesse, che attribuiscono al bene venduto le qualità tipiche della dimora estiva. Da ciò conseguono per un verso la nullità parziale delle clausole che siano contrarie alla disciplina pubblicistica (e, cioè, alla regolamentazione dell’intero complesso turistico risultante dalle previsioni del PRPC e dalla relativa convenzione attuativa), e per un altro verso la possibile integrazione del contratto, ai sensi dell’art. 1374 c.c., nel caso in cui le sue clausole non esprimano adeguatamente le conseguenze che da esso derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità.

Gli strumenti giuridici concretamente utilizzabili per assicurare l’intrinseca conformazione delle proprietà immobiliari facenti parte del plesso (tanto con riferimento alle unità abitative, quanto con riferimento alle strutture di servizio) e l’utilitas insita nella loro originaria vocazione ed alla reciproca interrelazione, possono essere ricondotti alle due categorie generali del diritto civile: rapporti di carattere personale ad efficacia meramente obbligatoria, e diritti aventi carattere di realità, perché strettamente connessi alla proprietà ed al possesso dei beni. A tal riguardo si osserva:

  • i rapporti di obbligazione di natura contrattuale

Per quanto riguarda i rapporti di obbligazione di natura personale, si ritiene che dal tipo di contratto in esame (vendita di casa vacanze inserita in un complesso turistico da parte del proponente/costruttore) debbano necessariamente derivare i seguenti diritti ed obblighi accessori, connaturati alla causa del contratto (“naturalia negotii”):

  • obblighi di facere e di non facere a carico dell’acquirente, costituiti: (i) dal divieto di modificare la destinazione d’uso dell’immobile, in violazione dell’art. 23 ter, dpr 6 giugno 2001, n. 380, per effetto della sua trasformazione in una unità abitativa “residenziale” (che si può verificare non solo mediante realizzazione di nuove opere edilizie, ma anche a seguito della privazione delle qualità che permettano di fruire dei benefici della vacanza); (ii) dall’obbligo di contribuire alla conservazione del complesso turistico nel suo stato originario;
  • obblighi di non facere e di permettere a carico del proponente-venditore, consistenti nell’obbligo di: (i) non distrarre dalla loro destinazione gli immobili strumentali adibiti alla prestazione dei servizi ricreativi; (ii) di consentire ai proprietari delle unità immobiliari alienate di fruire dei servizi promessi, che ineriscono alla tipologia del comprensorio ed alla qualità dei beni venduti, mediante utilizzazione a condizioni eque dei predetti immobili strumentali, in conformità con gli obblighi di buona fede nella esecuzione del contratto prescritti dall’art. 1375 c.c.; e ciò in quanto la mancanza di tali servizi si tradurrebbe, ipso facto, nella inidoneità delle unità abitative vendute a soddisfare le finalità del contratto ed un’implicita distrazione dalla destinazione d’uso per cui esse sono state realizzate ed alienate.

Poiché si tratta di condizioni essenziali della vendita, questi reciproci diritti ed obblighi devono essere previsti a pena di nullità. Tuttavia, ad evitare questa conseguenza, soccorre l’art. 1374 c.c., più volte citato, secondo cui “Il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”. Da ciò consegue che il giudice potrà procedere alla integrazione del contratto, mediante inserzione delle clausole necessarie ad assicurare il raggiungimento delle ragioni economico-sociali connesse alla sua stipula, tenendo conto della destinazione dei beni secondo la vigente disciplina urbanistica.

In particolare, potrebbe essere necessario supplire alla genericità delle disposizioni contrattuali per meglio definire le questioni riguardanti: a) la durata delle obbligazioni di cui trattasi; b) la determinazione delle condizioni d’uso dei beni di utilità comune ed i compensi dovuti per i servizi che non possano ritenersi di carattere gratuito.

Il problema della durata appare di facile soluzione, se si considera che le obbligazioni di cui trattasi sono inerenti alla tipologia del contratto ed alle qualità del bene venduto. Si tratta dunque di obblighi che perdurano finché permangono i vincoli di destinazione dell’area, considerata sia nella sua globalità che nelle sue singole componenti. In caso contrario, si determinerebbe la dissoluzione dell’unità organica del complesso turistico e – come si è già osservato – si verificherebbe il mutamento della destinazione urbanistica delle unità abitative, in contrasto con le previsioni progettuali e convenzionali. Da ciò consegue che gli accordi che disciplinano l’uso dei servizi per un limitato periodo temporale non possono ritenersi esaustivi, ma devono essere opportunamente rinnovati ad ogni scadenza.

Per quanto riguarda invece le modalità d’uso, che non costituiscano oggetto di specifica regolamentazione contrattuale, si potrà ricorrere, anche giudizialmente, alla cd. “integrazione equitativa” fondata sul principio di buona fede nella esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c., in ossequio ad una tecnica applicativa che trova il suo antecedente nella sentenza resa dalla Corte di Cassazione civile il 20 aprile 1994, n. 3775. In virtù del canone generale di buona fede oggettiva e di correttezza, che costituiscono espressione del più ampio principio di solidarietà sociale espresso dall’art. 2 Cost. (in tal senso, cfr. Cass., SS.UU. n. 23726/2007), occorre infatti ritenere che il contenuto e gli effetti dei contratti possono essere integrativamente determinati attraverso il riferimento ai doveri di correttezza imposti dall’art. 1175, che si pone come “limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, concorrendo alla relativa conformazione in senso ampliativo o restrittivo, per modo che l’ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale”. In tal modo, il giudice potrà essere tenuto, ad esempio, a rideterminare equamente il prezzo dei servizi offerti in esecuzione del contratto di vendita delle unità abitative che non fosse stato determinato negozialmente, ovvero di quello applicabile nel tempo successivo alla scadenza del periodo per il quale sia stato determinato pattiziamente.

  • le reciproche obbligazioni tra proprietari delle unità abitative e gestori degli immobili strumentali in base alle norme pubblicistiche e regolamentari

Oltre che nelle clausole contrattuali contenute nei contratti di vendita, la disciplina dei rapporti obbligatori tra proprietari delle unità abitative da un lato e proprietari e/o gestori delle strutture adibite alla prestazione dei servizi comuni da un altro, può trovare la propria fonte: a) direttamente nella normativa urbanistica; b) in appositi regolamenti a carattere negoziale, che debbano essere obbligatoriamente accettati da ciascuno di essi.

Sotto il primo profilo, occorre considerare che le previsioni del PRPC regolarmente approvato imprimono a tutti gli immobili della zona (sia quelli adibiti ad abitazione privata, sia alle strutture ricettive, sia alle strutture adibite alla prestazione dei servizi) non solo un generico vincolo di destinazione per l’uso turistico, ma anche uno specifico vincolo di reciproca interconnessione funzionale, che assicurare la conservazione delle caratteristiche tipologiche del progetto originariamente approvato. Al di là di quanto concretamente recepito nei singoli contratti di trasferimento degli vari immobili che costituiscono il complesso, le previsioni contenute nello strumento urbanistico hanno un carattere immediatamente precettivo e meritano di essere rispettate sia dai proprietari degli appartamenti (che non possono essere trasformati da case-vacanze in semplici residenze), sia dai proprietari delle strutture di servizio (che non possono interrompere il legame con le unità abitative, isolando tali strutture dal contesto a cui appartengono).

In simili circostanze, si può configurare una responsabilità (non da “contratto” ma) da “contatto”, in sintonia con le tendenze evolutive della teoria dell’obbligazione e con il fenomeno di espansione della responsabilità civile, nell’ambito delle peculiarità sistemiche dei diversi diritti ed in linea con principi di solidarietà sociale [9]. In altri termini, sono le disposizioni conformative contenute nella disciplina urbanistica ad imporre ai proprietari delle strutture turistiche incluse nel comprensorio di mantenere il vincolo di strumentalità rispetto agli altri immobili della zona, a condizioni eque che ne consentano l’effettiva fruizione nelle condizioni originariamente configurate.

Un’ ulteriore fonte normativa, orientata in analoga direzione, può essere costituita da un regolamento comune, che debba essere accertato obbligatoriamente da tutti i proprietari degli immobili ubicati nel comprensorio. Un atto di tal genere consentirebbe di coniugare profili di ordine pubblicistico e privatistico: per un verso garantirebbe il mantenimento della unità organica del complesso turistico e la necessaria interrelazione tra i suoi componenti, in conformità con la disciplina urbanistica; per un altro verso permetterebbe di perseguire efficacemente le finalità tipiche dei contratti di vendita delle unità abitative e di disciplinare in modo uniforme – anche mediante il progressivo adeguamento alle variazioni che dovessero intervenire nel tempo – l’erogazione dei servizi offerti ai proprietari delle case per vacanze.

  • i diritti reali a beneficio dei proprietari delle unità abitative

Le finalità dei contratti in esame possono essere perseguite non solo mediante la costituzione (per contratto, per legge o per regolamento) di obbligazioni personali a carico dei gestori delle strutture di servizio, ma anche mediante la costituzione di diritti reali a beneficio dei proprietari delle unità abitative ad uso turistico. Se si considera infatti che le unità abitative (villette, case vacanze, etc…) possiedono una ineliminabile destinazione ad uso turistico e che lo strumento che assicura questa destinazione è rappresentato dal diritto di fruire dei servizi ricreativi offerti dagli immobili strumentali ubicati nel complesso polifunzionale, occorre ritenere che le posizioni giuridiche soggettive dei proprietari sono intrinsecamente connesse ai beni da essi acquistati. La compravendita, in altri termini, non produce il solo effetto (reale) di trasferire la proprietà del bene alienato, ma produce altresì i diritti in re aliena, che – potendo essere fatti valere erga omnes – consentano di usufruire della destinazione turistica promessa nel miglior modo possibile.

Questa possibilità trova un limite nella tradizionale teoria secondo cui i diritti reali ammessi dall’ordinamento costituiscono un numerus clausus. Da ciò consegue che essi possono essere costituiti nel solo caso in cui si inquadrano nello schema tipico previsto dal codice civile. Nel concreto, i diritti reali astrattamente configurabili nella fattispecie sono costituiti:

  • dall’inalienabile diritto pubblico alla libera fruizione della spiaggia del mare, nei tratti che non siano dati in concessione ai privati (con possibili servitù di passaggio che consentano il più agevole accesso al lido);
  • da possibili diritti di servitù sugli immobili destinati alla prestazione di servizi di uso comune (quali stabilimenti balneari, aree ed impianti per attività sportive, etc., considerando che, secondo il disposto dell’art. 1038 c.c., la servitù “può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante”.

Si osserva, al riguardo, che la servitù “può essere modellata in funzione delle più svariate utilizzazioni, pur riguardate dall’angolo visuale dell’obiettivo rapporto di servizio tra i fondi e non dell’utilità del proprietario del fondo dominante”, sempre che non comporti uno “svuotamento della proprietà di esso […] nel suo nucleo fondamentale”, o non si risolva “nella totale elisione delle facoltà di godimento del fondo servente” (così, per tutte, Cass., SS. UU., sentenza 17 dicembre 2020, n. 28972). In questa prospettiva, con la recentissima sentenza del 13 febbraio 2024, n. 3925, le stesse SS.UU. hanno riconosciuto la legittimità di una “servitù di parcheggio”, allorché sia ravvisabile il requisito della “realitas” (intesa come “inerenza al fondo dominante dell’utilità così come al fondo servente del peso”), e non della mera “commoditas” (che si risolverebbe, viceversa, in “un vantaggio affatto personale dei proprietari”, e perciò in una cd. “servitù irregolare”, inquadrabile nell’ambito del diritto d’uso o nello schema del contratto di locazione o dei contratti affini, quali l’affitto o il comodato) ovvero nello schema del contratto di locazione o dei contratti affini, quali l’affitto o il comodato; con l’ulteriore conseguenza che il diritto trasferito, attesi la sua natura personale ed il carattere obbligatorio, non può ritenersi ipso facto trasmissibile, in assenza di una ulteriore, apposita convenzione stipulata dall’avente diritto con il nuovo proprietario del bene “asservito” (cfr., ancora, Cass., sez. II civ., sent. n. 20409 del 2009). Per analoghe ragioni, in linea con tale indirizzo giurisprudenziale, si è esclusa la possibilità di acquisto per usucapione di una servitù di parcheggio in considerazione (anche) della natura meramente personale di tale utilità (cfr., Cass., sez. II civ., sent. 7 marzo 2013, n. 5769 – Rv. 625685).

In estrema sintesi, secondo le Sezioni Unite della Cassazione, l’autonomia contrattuale è libera di prevedere una utilitas (destinata a vantaggio non già di una o più persone, ma di un fondo), secondo lo schema della servitù prediale, allorché ricorrano tutti i requisiti del ius in re aliena, quali l’altruità della cosa, l’assolutezza, l’immediatezza (e, cioè, la non necessità dell’altrui collaborazione, ai sensi dell’art. 1064 cod. civ.), l’inerenza al fondo servente ed al fondo dominante, la specificità dell’utilità riservata, la determinatezza della localizzazione.

Nel caso in esame, l’utilitas può essere ravvisata nel più ameno, comodo e pieno godimento dell’unità abitativa, in conformità con la sua vincolante destinazione ad uso vacanze e con la sua collocazione nell’unitario complesso turistico; si concretizza nella fruizione delle strutture di servizio turistico comuni (stabilimento balneare e SPA), e corrisponde alla previsione e alla conformazione urbanistica dell’intero complesso, ivi compresi gli immobili destinati a tali essenziali funzioni di servizio, definite ab origine nel pubblico e generale interesse. La sua configurabilità potrebbe trovare tuttavia ostacolo nella esigenza dell’altrui collaborazione, che introduce prestazioni di natura personale nello schema della servitù, quale mero rapporto di natura reale tra fondo dominante e servente;

  • qualora mancasse taluno dei requisiti per poter configurare una vera e propria servitù (a causa – ad esempio – della demanialità del suolo su cui sorge lo stabilimento balneare, o della necessità di una collaborazione del proprietario del fondo dominante) potrebbe configurarsi in ogni caso un diritto reale d’uso, inteso come limitazione del diritto di proprietà gravante sugli immobili destinati alla erogazione dei servizi a vantaggio non del fondo finitimo, bensì dei singoli proprietari di quest’ultimo.
  1. Le tutele dell’acquirente della casa per vacanze nella qualità di consumatore finale

Per rafforzare la posizione del proprietario degli immobili ad uso abitativo inclusi nel compresso turistico soccorrono anche i principi dettati per la tutela del consumatore, in considerazione del ruolo assunto e della posizione significativamente deteriore rivestita al momento dell’acquisto rispetto alla controparte contrattuale ed, a fortiori, a seguito del successivo subentro di nuovi soggetti e interlocutori, che hanno medio tempore acquisito la titolarità e/o la gestione delle strutture destinate ad erogare servizi turistici comuni al complesso residenziale e a ciascuno dei proprietari delle relative unità abitative.

Occorre considerare, al riguardo, che il trasferimento di immobili di tal genere si pone quale punto di intersezione tra due distinte macro-aree del sistema civilistico (la disciplina dei beni e delle situazioni di appartenenza da un lato, la normativa contrattuale dall’altro), con riferimento ai nuovi contratti emersi da tempo nella prassi mercatoria e negoziale che ben possono considerarsi assetti evolutivi della vendita, quali operazioni negoziali che innestano, su una “base” costituita da atti onerosi di trasferimento di beni, una serie di elementi ulteriori che arricchiscono il profilo causale dell’operazione, impedendo di esaurirne la portata entro i confini della tradizionale causa vendendi. Le dinamiche contrattuali concernenti beni immobili dal sapore turistico si presentano sempre più spesso nelle forme della contrattazione di massa, attraverso moduli con clausole predeterminate e in un terreno (qual è quello delle compravendite immobiliari) tradizionalmente ostile al consumerism.

La spersonalizzazione del contratto – recante un contenuto rigido e predefinito elaborato unilateralmente – ripropone gli stessi antagonismi tipici del rapporto professionista-consumatore. Invero, il divario esistente tra le società immobiliari e gli acquirenti persone fisiche si dispiega nella sconfortante mancanza di conoscenza di questi ultimi in riferimento a ciò che intendono acquistare, nonché per l’impellenza del bisogno per cui rileva l’immobile (abitativo, personale, turistico, etc.).

All’interno dell’ampio genus delle contrattazioni immobiliari esiste quindi, senza dubbio, un ambito nel quale il venditore esercita l’attività di costruire o vendere immobili professionalmente, facendo largo uso di modelli già predisposti, riducendo così di molto la possibilità di incidere sul contenuto del contratto e avvicinando la contrattazione immobiliare alle tutele specifiche previste per la parte debole. In questo scenario, che ben si riproduce nel caso di specie, l’acquirente dell’unità abitativa si relaziona con un soggetto dotato non solo di una maggiore conoscenza, ma anche di un consistente potere di mercato e, proprio per questa ragione, merita di essere tutelato e preservato dall’abuso di quest’ultimo, nell’ottica elementare di riequilibrio delle forze contrattuali. In questo senso, esiste da vari anni un processo evolutivo della legislazione, anche euro-unitaria; ed anche la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di fare applicazione dei principi e delle norme sulla tutela del consumatore con riferimento ai contratti di compravendita immobiliare, ed ha affermato (con riferimento ad un caso di riparto delle spese condominiali) che “in presenza di una convenzione […] predisposta dal venditore-costruttore ed accettata dagli acquirenti nei singoli contratti di vendita, può sostenersi l’applicabilità delle norme del Codice del consumo, e quindi valutarsi la pattuizione alla luce del complessivo programma obbligatorio, secondo i profili del «significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto» e della «buona fede», ai sensi dell’art. 33, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206” (cfr., per tutte, Cass., sez. II civ., sent. 4 agosto 2016, n. 16321).

Nell’occasione, la S. Corte ha puntualmente individuato tutti gli elementi strutturalmente tipici e indefettibili delle fattispecie ricadenti nell’ambito della tutela del consumatore, in quanto:

  • ha ritenuto rilevanti, ai fini dell’applicabilità delle norme di cui (attualmente) al Codice del consumo, le “convenzioni di ripartizione delle spese condominiali predisposte dal costruttore, o dall’originario unico proprietario dell’edificio condominiale, in quanto oggettivamente ricollegabili all’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale da quello svolta”;
  • ha rilevato che, a tal fine, occorre che il condomino acquirente dell’unità immobiliare di proprietà esclusiva, dovendo rivestire lo status di consumatore, agisca per soddisfare esigenze di natura personale, non legate allo svolgimento di attività imprenditoriale o professionale;
  • ha considerato pertinente la disciplina delle clausole vessatorie “con riguardo a convenzioni che introducano vincoli di destinazione di natura reale incidenti in via diretta sulla consistenza della (proprietà condominiale e della) frazione di proprietà esclusiva oggetto dei rispettivi programmi negoziali sinallagmatici di compravendita, determinando contrattualmente le modalità di utilizzazione del bene ceduto”; convenzioni che, “realizzando una funzione economica unitaria rispetto alla prestazione di dare assunta dal venditore, nonché strumentale al soddisfacimento delle esigenze di consumo proprie dell’acquirente”, rientrano “nella categoria protetta dei contratti di acquisto di beni a scopo di consumo”.

In definitiva, l’acquirente di un qualsiasi diritto su di una unità immobiliare ubicata in un complesso residenziale, al momento della stipulazione del contratto, andrà ad accettare una serie di clausole, predisposte unilateralmente dal promotore dell’operazione commerciale e considerate necessarie, in quanto deputate a garantire il miglior funzionamento della struttura. La prospettiva fisiologica, però, può ben presto mutare in patologica per l’inesistenza, in concreto, di una negoziazione individuale che, in questo scenario deteriore, evoca i noti rischi e le relative tutele proprie del cd. abuso del potere contrattuale, cardine dell’intera disciplina consumeristica, soprattutto con riferimento a clausole che incidono tendenzialmente sulla realità dei diritti spettanti ai singoli condomini e si presentino con la parvenza di regole di natura obbligatoria, che a ben vedere si collocano in una zona incerta di confine tra diritti reali e diritti personali.

In quest’ottica, assume particolare rilievo il novero delle clausole contrattuali – sia esplicite che implicite – che dovessero comportare la riserva in proprietà esclusiva – a favore del costruttore originario, dominus della struttura, e dei suoi aventi causa – dei beni e delle strutture di servizio essenziali alla fruizione delle unità abitative compravendute in conformità con la loro stessa peculiare destinazione d’uso turistica, peraltro, vincolata; e ciò in quanto tali beni strumentali, anziché ricadere nell’alveo degli spazi e/o dei servizi comuni, finiscono per appartenere in via esclusiva al dominus e/o al gestore di turno. Tali clausole assumerebbero obiettivamente carattere vessatorio, perché incidono, oltretutto surrettiziamente, sulla fruibilità stessa di quei servizi che, pure, costituiscono essenziale componente causale del negozio di compravendita stipulato, senza alcuna considerazione per l’interesse comune dei soggetti stabiliti nel complesso turistico ed in forza di un regolamento negoziale unilateralmente predisposto dal costruttore e originario dominus e/o dai suoi aventi causa, ai quali abbia inteso trasferire la proprietà e la gestione dei suddetti beni strumentali. Nelle predette circostanze, sembra evidente l’interesse del compratore a continuare a fruire di tutti i servizi offerti all’interno del complesso polifunzionale, in conformità con il progetto originario perché, in mancanza di essi: il suo acquisto risulterebbe più che dimidiato, ed il bene acquistato risulterebbe privo delle qualità essenziali inizialmente promesse.

È certo che, nella fattispecie in esame, una tale attività conformativa dell’autore del testo contrattuale incide sulla realtà individuale e collettiva, in quanto il regolamento dei rapporti tra proprietà singole e parti adibite ai servizi comuni è funzionale a garantire la migliore tenuta del complesso immobiliare nel tempo. La fattispecie può ben essere accostata alle condizioni generali di contratto, specialmente quando le clausole vanno a limitare in maniera incisiva i diritti spettanti al singolo acquirente/consumatore.

Per quanto sopra, si ritiene che nella fattispecie si renda applicabile la disciplina a tutela del consumatore (art. 33, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, recante il codice del consumo) che appresta la sua protezione da clausole “vessatorie”, e cioè dalle clausole che, indipendentemente dal requisito della buona fede, determinano uno significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto di acquisto dell’alloggio, con annesso regolamento, concluso tra il venditore (che può ben essere definito “professionista”) e chi compera (il quale assume invece la veste di “consumatore”). È appena il caso di aggiungere che, ai sensi del secondo comma della richiamata disposizione, “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di: [ …] d) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà; […] m) consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso” […]; s) consentire al professionista di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo”. E ciò, tanto più che, a norma del successivo art. 34, comma 1, del medesimo codice, “la vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende”.

Giova considerare, in proposito, che non occorre che ad uno svantaggio del consumatore corrisponda un vantaggio del professionista, perché in caso contrario si giungerebbe ad escludere la vessatorietà di clausole che impongono irragionevoli svantaggi in capo al consumatore per il solo fatto dell’assenza di un qualsivoglia vantaggio per il professionista. In altri termini, l’irragionevolezza intrinseca della convenzione contrattuale rispetto alla sua stessa complessa componente causale si può considerare ragione sufficiente di uno squilibrio rilevante ai fini della disciplina di cui trattasi e dei relativi specifici mezzi di tutela.

  1. Le possibili patologie del rapporto e gli eventuali inadempimenti del costruttore/venditore

Per tutte le ragioni sopra esposte, occorre ritenere che un “complesso turistico multi-funzionale”, che sia progettato ed approvato come tale e che sia composto da unità abitative adibite a vacanza e da strutture di servizio per la fruizione del tempo libero, abbia e debba conservare una unità funzionale, che richiede una gestione unitaria (o, quanto meno, coordinata), mediante l’uso degli strumenti più idonei (condominio, cooperativa, consorzio obbligatorio tra proprietari). Qualora la gestione delle strutture di servizio che la compongono dovesse essere disgregata, le unità abitative vendute perderebbero le qualità promesse e si configurerebbe l’inadempimento del costruttore/venditore all’obbligo di adempiere alle prestazioni accessorie (prestazione dei servizi promessi), che costituiscono elemento essenziale del contratto di vendita. Inoltre, sarebbero lesi i diritti reali (servitù, uso) che dovessero configurarsi nella specie, e sarebbero violati i diritti assicurati al consumatore dalla legislazione vigente.

Invero, è di tutta evidenza che la promozione e la vendita di alloggi ad uso vacanze in un complesso residenziale poli-funzionale, che sia dotato dei migliori servizi per lo sport, il tempo libero e la cura del benessere della persona, non dà luogo ad un assetto negoziale “equilibrato”, né ad una corretta esecuzione delle obbligazioni derivanti dal contratto, qualora l’acquirente sia privato delle utilità promesse, così da frustrare in radice la causa giustificativa del rapporto, in contrasto con la tipologia del bene pubblicizzato e compravenduto. In questa ottica, non assume rilevanza la circostanza che, al momento della stipula del contratto di vendita, il venditore abbia concordato le condizioni per la fruizione dei servizi del complesso turistico solo per un periodo di tempo determinato. È evidente infatti che la destinazione dell’unità abitativa ad uso vacanze attiene alla natura stessa del bene alienato ed ha una durata permanente, connessa alla conformazione urbanistica dell’area; con la conseguenza che i servizi ad essi inerenti non possono essere unilateralmente sottratti (o concessi solo a condizioni di mercato unilateralmente stabilite) dopo la scadenza del periodo che abbia costituito oggetto di specifica regolamentazione, e che si renda piuttosto necessario rinnovare ad ogni scadenza le norme d’uso a  condizioni equamente concordate, tenendo conto della specifica posizione degli acquirenti – proprietari delle unità abitative del complesso turistico ed assicurando in ogni caso l’integrità di tali beni.

La tesi secondo cui il diritto di fruire dei servizi comuni a condizioni equamente concordate per il solo periodo espressamente previsto al momento della stipula del contratto di vendita, attribuisce un carattere ingannevole alla condotta del venditore/professionista ai danni dell’acquirente/consumatore, che sarebbe stato indotto a credere, in buona fede, nell’utilità di un investimento immobiliare di lungo periodo, e si troverebbe esposto – alla prima scadenza del periodo espressamente disciplinato – ai costi ed agli oneri riservati non ai residenti, ma alla clientela esterna, secondo ordinarie condizioni di mercato unilateralmente imposte dal gestore del servizio; e ciò a seguito della disarticolazione del comprensorio turistico, complessivamente considerato, ed alla sua scissione in strutture autonome ed indipendenti.

Per questi motivi, occorre ritenere che la determinazione del costruttore/venditore di scindere tra loro i componenti del complesso turistico e di disgregare la gestione delle sue strutture, si pone in contrasto con le norme urbanistiche e con quelle contrattuali, nonché con le norme poste a tutela dei diritti del consumatore; e ciò in quanto i principi applicabili al caso di specie impongono di ritenere la necessità di mantenere l’unitarietà del plesso e l’inscindibilità dei vincoli reciproci tra i vari immobili che lo compongono, sotto pena di alterare le destinazioni urbanistiche, in violazione dell’art. 23 ter del dpr 380/2001.

  1. I profili di responsabilità dei successori nella gestione delle strutture turistiche

Merita ulteriore riflessione il problema delle responsabilità del terzo acquirente delle aziende comprese nel comprensorio, che esercitano le attività di prestazione di servizi turistici (stabilimento balneare, impianti sportivi, centri benessere, e simili). È infatti possibile (ed è anzi frequente) che il proponente/costruttore ceda a terzi la proprietà e/o la gestione delle aziende o dei rami di azienda istituiti per la prestazione dei servizi turistici nelle strutture operative (stabilimento balneare, impianti sportivi, centro benessere, etc…), e che questi terzi si sentano liberi di esercitare le proprie attività di impresa in base alle ordinarie condizioni di mercato, senza alcun vincolo nei confronti dei proprietari delle unità abitative che compongono il comprensorio. In tal modo, si dissolverebbe qualsiasi diritto che i proprietari/acquirenti di tali unità abitative potrebbero far valere nei confronti del proprio dante causa, in virtù del rapporto negoziale intercorso e per le ragioni che sono state espresse innanzi.

Questa prospettazione non può essere condivisa. Se da un lato non si può disconosce il diritto del costruttore di farsi sostituire nella gestione degli impianti e nella esecuzione delle obbligazioni assunte verso i terzi, secondo la disciplina dell’art. 1180 c.c., anche a seguito della cessione delle aziende strumentali alla esecuzione delle prestazioni dovute, da un altro lato occorre affermare che il cessionario/affittuario dell’azienda subentra nelle sue obbligazioni, onde evitare che i diritti dei creditori possano rimanere insoddisfatti. Questa tesi può essere avvalorata con un triplice ordine di argomenti:

  1. In primo luogo, si ritiene che la disciplina pubblicistica, che è insita nelle previsioni del PRPC e si esprime attraverso della convenzione urbanistica attuativa, espleta efficacia erga omnes e si renda applicabile anche nei confronti dei soggetti che subentrano nella gestione delle strutture preposte alla fornitura dei servizi nel comprensorio turistico. L’unitarietà funzionale prevista dal progetto approvato non può essere vanificata dal subentro di nuovi soggetti nell’esercizio delle imprese che consentono di configurare un sistema omogeneo destinato alle vacanze ed alla fruizione del tempo libero. I soggetti subentranti devono ritenersi perciò obbligati al rispetto delle destinazioni d’uso, nel rispetto dei vincoli conformativi impressi dalle originali previsioni progettuali;
  2. Ad analoghe conclusioni conducono le norme civilistiche in tema di cessione di azienda. Invero, non sembra dubbio che trovi applicazione l’art. 2558, commi 1 e 3, c.c., secondo cui, in mancanza di pattuizioni contrarie, l’acquirente e/o l’affittuario dell’azienda subentrano nelle obbligazioni e nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. Il rispetto dei contratti relativi all’azienda in corso di esecuzione costituisce il necessario bilanciamento del diritto dell’imprenditore di farsi sostituire nell’adempimento della prestazione a seguito di cessione dell’azienda stessa.

Secondo pacifica dottrina, invero, la successione dell’acquirente o dell’affittuario in tutti i rapporti contrattuali derivanti da negozi a prestazioni corrispettive inerenti alla gestione aziendale, costituisce in via di principio un effetto naturale della fattispecie traslativa, perché inerisce al concetto di azienda come “universalità” di beni e di rapporti giuridici, a prescindere dalla conoscenza che il cessionario abbia, o possa avere, dell’esistenza del contenuto dei singoli rapporti che gli vengono trasferiti. Pertanto, egli non può disconoscere i diritti degli utenti derivanti dai contratti in corso, che siano insiti nel documento di legittimazione ad essi rilasciato al momento della stipula.

Per queste ragioni, occorre ritenere che le imprese che subentrano nella gestione delle strutture turistiche del comprensorio sono tenute a rispettare tutti i diritti, le ragioni, le azioni, le servitù attive e passive (apparenti e non apparenti), i vincoli di natura pubblica e privata, nonché gli oneri accessori che ineriscono all’azienda ceduta, compresi gli obblighi di fare, non fare o permettere che i cessionari o gli affittuari abbiano assunto nei confronti dei proprietari delle unità immobiliari abitative per assicurare, a condizioni eque e concordate, i servizi necessari alla fruizione dei beni alienati per le previste finalità turistiche. Non vale opporre che il successivo art. 2560 c.c. dispone che l’acquirente dell’azienda risponde dei soli debiti risultanti dai libri contabili obbligatori: la norma si riferisce infatti ai soli debiti monetari “puri”, relativi al pagamento di beni o di servizi già ricevuti, e non all’adempimento delle obbligazioni derivanti da contratti in corso, che rimane regolato dalle disposizioni dell’art. 2558 c.c. già citate.

È appena il caso di precisare che l’assunzione di responsabilità da parte del cessionario non libera da responsabilità il cedente. Per giurisprudenza altrettanto consolidata, infatti, la sostituzione ha effetto liberatorio per il debitore originario solo quando la prestazione dovuta sia eseguita dal terzo in modo specifico e assolutamente conforme all’obbligazione originaria (cfr. Cass., n. 35786 2021; Cass. n. 23354 del 2011; Cass. n. 6728 del 1988); e tale principio trova conferma nelle disposizioni che regolano la cessione di azienda, secondo cui “l’’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito” (art. 2560, comma 1, c.c.).

Nel caso in cui le norme convenzionali abbiano previsto la costituzione di un consorzio obbligatorio tra tutti i proprietari per la manutenzione del complesso turistico e la gestione unitaria dei servizi erogati, il soggetto che subentri nella gestione delle aziende preposte alla fornitura dei servizi turistici sarà obbligato a partecipare al consorzio e ad assumere tutti gli oneri inerenti, Il consorzio, dunque, svelerebbe pertanto la sua vocazione di garantire nel tempo la gestione unitaria dell’intero complesso turistico multi-funzionale, che costituisce presupposto essenziale per la conservazione dei suoi caratteri funzionali.

9. Considerazioni conclusive

Occorre conclusivamente ritenere che la posizione dell’acquirente di un immobile abitativo a finalità turistica, ubicato in complesso turistico poli-funzionale disciplinato come tale dalle norme urbanistiche vigenti, meriti di essere tutelata (alla pari di quella di un ospite temporaneo di un “villaggio turistico”), in modo che sia assicurata la possibilità di fruire, a condizioni eque e concordate, di tutti i servizi integrati che sono offerti dalle strutture e dagli impianti che lo compongono. La facoltà di fruire di questi servizi costituisce infatti qualità essenziale dell’immobile acquistato e causa giustificativa dell’acquisto effettuato, in guisa che si deve configurare l’obbligo del proponente/costruttore/venditore, e suoi aventi causa, di prestare questi servizi alle condizioni previste dai contratti di acquisto, come integrati, all’occorrenza, ai sensi degli artt. 1374 e 1375 c.c..

Alessandro De Stefano

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[1] Nel dettare i principi fondamentali della politica del turismo, la norma affermava che: “La Repubblica: a) riconosce il ruolo strategico del turismo per lo sviluppo economico e occupazionale del Paese nel contesto internazionale e dell’Unione europea, per la crescita culturale e sociale della persona e della collettività e per favorire le relazioni tra popoli diversi”. Benché inserita in un testo di legge abrogato, nel contesto delle competenze legislative delineato dalla riforma del Titolo V della Costituzione, la norma afferma principi fondamentali, tuttora pienamente validi.

[2] Si vedano il regio decreto-legge 21 febbraio 1932, n. 154, concernente la pubblicità dei prezzi degli alberghi, delle pensioni e delle locande; il regio decreto-legge 02 gennaio 1936, n. 274, recante “Norme per la vendita e la locazione degli immobili adibiti per uso alberghiero”; il Regio decreto-legge 18 gennaio 1937, n. 975, sulla “Classificazione degli alberghi e  delle pensioni”, il Regio decreto-legge 08 novembre 1938, n. 1908, con “Norme per disciplinare, in deroga  ai regolamenti edilizi comunali, l’altezza degli edifici destinati ad uso di  albergo” .

[3] Cfr. la l. 17 maggio 1983, n. 217, recante la “Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica”; la l. 29 marzo 2001, n. 135, recante la “Riforma della legislazione nazionale del turismo”; il d.lgs. 23/05/2011, n. 79, recante il “Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, nonché attuazione della direttiva 2008/122/CE, relativa ai contratti di multiproprietà, contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine, contratti di rivendita e di scambio”. Si vedano altresì le norme regionali emanate dalle Regioni, nell’ambito della potestà legislativa loro conferita nel settore turistico, al fine di disciplinare le varie tipologie di strutture turistiche.

[4] La direttiva modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio ed abroga la direttiva 90/314/CEE del Consiglio. Essa è stata recepita nell’ordinamento interno mediante il capo I del titolo VI dell’allegato 1 al d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79, come sostituito dal d.lgs. 21 maggio 2018, n. 62.

[5] La direttiva 2008/122/CE è stata recepita nell’ordinamento interno mediante il titolo IV – capo I – del d.lgs. decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206D.Lgs. 06/09/2005, n. 206, come sostituito dall’art. 2 del d.lgs. 79/2011.

[6] Si veda al riguardo Cass., 2 marzo 2012, n. 3256; Cass., 24 aprile 2008, n. 10651.

[7] Utili elementi in tal senso possono essere desunti dall’ ordinanza emessa dal Tribunale di Udine in data 14 maggio 2019, con riferimento ad un caso di attribuzione in proprietà esclusiva delle unità residenziali (villette) che compongono un villaggio turistico. Con riferimento a tale fattispecie, il Tribunale afferma che: “è ravvisabile un rapporto di strumentalità ed accessorietà fra le unità residenziali ed i beni di utilità comune (quali parcheggi, piscine, aree verdi, viali, portineria, locali tecnici, etc…), in considerazione dell’oggettiva e stabile destinazione dei beni comuni al servizio, cioè all’uso ed al godimento, degli edifici” e del “rapporto di accessorietà” (e cioè di “quel particolare rapporto di servizio”) tra beni ad uso comune e beni di proprietà esclusiva. che dà luogo alla figura del condominio. Si configura infatti “un rapporto di accessorietà strumentale e funzionale tra unità immobiliari di proprietà esclusiva ed impianti e servizi comuni tale che questi siano lo strumento per il godimento dei beni di proprietà esclusiva e non siano suscettibili di utilità autonoma. Il particolare contesto in cui sorge ed è inserito un villaggio turistico balneare – nel quale le singole unità residenziali vengono utilizzate al solo fine turistico da parte dei singoli proprietari, alloggiandovi in proprio o locandole a terzi per un limitato periodo dell’anno, e nel quale vige l’obbligo della unitarietà della gestione e degli impianti, servizi, attrezzature – non è pensabile che parti comuni, quali parcheggi, aree verdi, marciapiedi, piscine, locale portineria, impianti, locali tecnici, non risultino parti necessarie, non solo per l’esistenza o per l’uso delle unità abitative, ma anche per l’esistenza del villaggio stesso, né è pensabile che le stesse non siano destinate all’uso o servizio delle unità private. È evidente che in un contesto quale quello di un villaggio turistico balneare, senza i suddetti beni in comune le unità abitative non esisterebbero ugualmente e non potrebbero del pari essere utilizzate. Pensare ad unità abitative residenziali prive di tali beni in comune, anche ammettendo che le stesse esisterebbero ugualmente e potrebbero del pari essere utilizzate, farebbero venir meno il concetto stesso di villaggio turistico dell’intera struttura, la quale sarebbe priva di tutta una serie di beni e strutture che caratterizzano un villaggio turistico e che determinano quel rapporto di servizio, uso e godimento delle unità stesse per un periodo limitato dell’anno”.

[8] Cass., 24 aprile 2008, n. 10651. Nello stesso senso, Cons. Stato, 1° ottobre 2019, n. 6566.

[9] Sul punto, si veda ANTONINO PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, “L’obbligazione come rapporto complesso”, in Rivista di Diritto Civile, n. 4, 1° luglio 2018, p. 910).